LA CULTURA DELLA SICUREZZA OLTRE LA NORMA
di Marco Castellett1, Alessandra Nicchiarelli2
La sicurezza in azienda: un pendolo che oscilla tra la norma e l’azienda
Nel 2006 i casi di morte sul lavoro sono stati 1250, su un totale di un milione di infortuni; nei primi 2 mesi del 2007 si sono verificati 144 infortuni mortali su 132.972 infortuni3.
Il primo aprile scorso è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il testo unico per il riassetto normativo e la riforma della salute e sicurezza sul lavoro.
La sicurezza in azienda, nonostante l’intensa attività legislativa, è un issue di fondamentale rilevanza e attualità dell’agenda setting dei media, del Governo, delle Istituzioni - in primis sindacati, PA e operatori del settore -, delle Aziende e dell’opinione pubblica.
Questa elevatissima attenzione intorno ad essa e il fatto di ricondurre la responsabilità di infortuni e incidenti principalmente, se non esclusivamente, all’azienda comportano, però, il grave rischio di incentivare un atteggiamento culturale, e quindi comportamenti concreti, di deresponsabilizzazione dei lavoratori, visti nel duplice ruolo:
di “vittime” delle scelte gestionali e operative del management piuttosto che come protagonisti attivi della sicurezza in azienda;
oppure di meri “esecutori” di norme, procedure, disposizioni e dispositivi imposti dallo Stato e dall’azienda piuttosto che come depositari e portatori sani del “valore” della sicurezza sul lavoro.
In sostanza, la sicurezza sembra essere percepita – se non altro dai media - come un problema da affrontare e gestire o in termini di “caccia alle streghe” o in termini normativi di normazione e controllo.
E se la si concepisse come un problema culturale da affrontare in modo costruttivo proponendo un modello valoriale positivo alternativo rispetto a quello attualmente diffuso?
La sicurezza per le imprese: dovere, obiettivo o responsabilità sociale?
Il IV Rapporto annuale sulla Sicurezza in Italia4 offre dei dati che sembrano positivi riguardo l’impegno delle aziende in materia di Salute e Sicurezza. La Sicurezza, infatti, sembra essere entrata a far parte del codice genetico delle imprese italiane e, anche quando si presenta lacunosa o incompleta, gli imprenditori risultano essere consapevoli di questa carenza, in quanto la percepiscono come parte integrante del loro fare impresa.
Per il 92,4% delle imprese la sicurezza non è un costo mal sopportato, ma parte dell’essenza stessa del fare impresa: per il 66,6% è un dovere, per il 15,6% un obiettivo e solo per il 10,2% è un investimento. Questo approccio è confermato anche dal fatto che la sicurezza è la terza voce nella classifica degli investimenti in innovazione effettuati dalle aziende, dopo le attrezzature informatiche e gli impianti e i macchinari (9,2% del fatturato).
Dai risultati dell’indagine condotta dall’Osservatorio Istud-Dnv5 emerge che l’ambito prevalente in cui le aziende promuovono iniziative di CSR6 è quello relativo all’Ambiente e alla Sicurezza (il 74% del campione). La maggior parte delle aziende ha adottato una politica ambientale formalizzata che ha focalizzato gli sforzi maggiori nella riduzione di consumi energetici e dell’immissione di sostanze inquinanti nell’ambiente.
Fig. 1 – Le iniziative di CSR promosse dalle aziende in ambito Ambiente e Sicurezza. Fonte: La CRS in Italia: tra sperimentazione e consolidamento. Osservatorio Istud-DNV.
Si nota, quindi, come l’area tematica Sicurezza e Ambiente sia sostanzialmente percepita dalle aziende come un ambito su cui è prioritario intervenire in termini di miglioramento di prodotti, processi, strutture e condizioni lavorative, piuttosto che in termini di sviluppo della cultura della sicurezza e della responsabilizzazione dei lavoratori. Questa considerazione, che trova supporto anche nei dati sulle azioni di CSR rivolte al mercato interno7 in cui non risultano iniziative di informazione e formazione sulla sicurezza, implica quindi che le aziende s’impegnano a migliorare maggiormente i fattori esterni e organizzativi per la Sicurezza – prova è la certificazione di gestione ambientale ISO 14000 o EMAS di cui sempre più aziende si stanno dotando.
Ritornando ai risultati del IV Rapporto annuale sulla Sicurezza in Italia8 e focalizzando l’attenzione sull’adeguamento normativo e sulle attività di formazione e comunicazione, l’indagine9 ha rilevato che:
il 64% delle aziende è in fase di aggiornamento del documento di valutazione dei rischi; il ritardo maggiore nell’applicazione del D.Lgs. 626 e successive modifiche e integrazioni è attribuibile alle microimprese;
la formazione risulta un’attività abbastanza diffusa per le imprese. Solo il 6,4% di esse non realizza attività formative per i lavoratori in materia di sicurezza. I canali maggiormente utilizzati sono rappresentati da cartelli e segnaletica (55,9%), corsi di formazione (50,9%) e divulgazione di materiale informativo (42,9%).
L’annuale indagine dell’Isfol sulla Formazione nelle grandi imprese in Italia10 rileva che la Sicurezza sul posto di lavoro è stato il principale contenuto dei corsi di formazione realizzati da questa tipologia di imprese nel 2005. Questo dato è ulteriormente supportato dal fatto che la stessa situazione era stata già registrata nel 2001 (89,75% nel 2001 rispetto all’81,4% del 2006).
Aree tematiche |
Dato (in %) |
Lingue straniere |
48,03 |
Sicurezza sul posto di lavoro (legge 626) |
81,14 |
Igiene e salvaguardia della salute, HCCP |
38,82 |
Impatto ambientale dei processi produttivi |
23,68 |
Caratteristiche di nuovi prodotti |
34,87 |
Utilizzo di impianti e macchinari |
43,64 |
Tecniche di produzione e lavorazione |
38,16 |
Informatica |
59,65 |
Contabilità e finanza |
46,93 |
Vendita, Marketing, Pubblicità, Gestione della relazione con il cliente |
47,81 |
Gestione aziendale e amministrazione |
58,55 |
Lavoro d’ufficio e segreteria |
16,89 |
Sviluppo delle abilità personali, conoscenza del contesto lavorativo, missione e strategia d’impresa |
44,52 |
Leadership, di problem solving, di lavori di gruppo, di project management |
44,39 |
Servizi alle persone, servizi di trasporto, vigilanza, servizi antincendio |
31,58 |
Altro |
12,72 |
Tab. 1 – Grandi imprese: aree tematiche dei corsi di formazione realizzati (Italia, 2005). Fonte dati: ISFOL INDACO 2006 – Grandi imprese (indagine sulla conoscenza nelle imprese – Le politiche di formazione delle Grandi Imprese in Italia).
Un’ulteriore conferma della centralità della formazione sulla Sicurezza è fornita anche dai dati sulla concentrazione degli investimenti formativi realizzati nel 2005: oltre il 46% degli investimenti nella formazione sono stati utilizzati in quest’area tematica.
Aree tematiche |
Dato (in %) |
Lingue straniere |
28,95 |
Sicurezza sul posto di lavoro (legge 626) |
46,71 |
Igiene e salvaguardia della salute, HCCP |
14,69 |
Impatto ambientale dei processi produttivi |
4,39 |
Caratteristiche di nuovi prodotti |
9,87 |
Utilizzo di impianti e macchinari |
10,53 |
Tecniche di produzione e lavorazione |
14,47 |
Informatica |
17,98 |
Contabilità e finanza |
7,98 |
Vendita, Marketing, Pubblicità, Gestione della relazione con il cliente |
16,89 |
Gestione aziendale e amministrazione |
12,72 |
Lavoro d’ufficio e segreteria |
0,44 |
Sviluppo delle abilità personali, conoscenza del contesto lavorativo, missione e strategia d’impresa |
15,35 |
Leadership, di problem solving, di lavori di gruppo, di project management |
17,76 |
Servizi alle persone, servizi di trasporto, vigilanza, servizi antincendio |
3,51 |
Altro |
6,8 |
Tab. 2 – Grandi imprese: aree tematiche formative di investimento prevalente (Italia, 2005). Fonte dati: ISFOL INDACO 2006 – Grandi Imprese (indagine sulla conoscenza nelle Imprese – Le politiche di formazione delle Grandi Imprese in Italia).
L’apparente positività dei dati delle ricerche presentate va però stemperata e riconsiderata alla luce di alcune considerazioni rilevanti:
La Sicurezza è indubbiamente un tema sentito dalle aziende: è percepita, però, più come un dovere da rispettare e da imporre, che come un vero e proprio asset da valorizzare e su cui investire, sia in termini di adeguamento normativo, che, soprattutto in termini formativi.
Anche laddove l’azienda assuma una forte e consapevole responsabilità sociale intorno al tema della sicurezza, la percepisce e la gestisce in termini esclusivamente ambientali, di problema di condizioni fisiche, di processi e di strumenti, piuttosto che in termini di questione culturale.
Anche lì dove – e il riferimento va prioritariamente alle grandi imprese – si fa formazione sulla sicurezza, essa appare legata esclusivamente agli obblighi di legge: la formazione viene erogata principalmente come informazione tecnica su procedure, dispositivi e operatività, piuttosto che essere gestita come occasione di sensibilizzazione sociale e di responsabilizzazione dell’azienda e dei lavoratori.
Nonostante le attività formative intraprese dalle aziende, emergecome la percentuale di aziende in cui tutti i lavoratori hanno ricevuto la formazione cui avevano diritto è solo del sessantuno percento. Tali percentuali, incrociate con le statistiche relative agli infortuni professionali, dimostrano come nelle aree in cui vengono svolti meno interventi di formazione, sia più alto il tasso di infortuni.
In Italia stanno emergendo alcuni casi di implementazione di sistemi di gestione integrata della qualità con l’ambiente e la sicurezza. Gli strumenti legati alla gestione della qualità, infatti, hanno una applicazione diretta anche per quanto riguarda la gestione della sicurezza in quanto in entrambi i casi l’obiettivo è ridurre i costi eliminando errori/incidenti, utilizzando un approccio centrato sul miglioramento continuo basato sulla prevenzione del fenomeno piuttosto che sulla correzione.
La formazione continua diventa, quindi, uno dei processi fondamentali per garantire qualità e sicurezza.
Investire e fare formazione sulla Cultura della Sicurezza, oltre che sugli aspetti normativi e procedurali della stessa, è un’opportunità che l’azienda deve saper cogliere per sensibilizzare e responsabilizzare, il suo management, in primis, ma soprattutto i suoi lavoratori, oltre che l’opinione pubblica, intorno al valore socialmente rilevante della prevenzione e tutela sul posto di lavoro.
Cultura, cultura organizzativa e cultura della sicurezza oltre la norma
Cultura
La definizione di cultura nelle scienze sociali è da sempre alla base di complessi dibattiti: i diversi significati ad essa attribuiti, infatti, non solo esprimono una diversa visione del concetto in sé, ma riflettono anche una differente visione della realtà, oltre che porre le basi per distinguere i confini tra un ambito scientifico e l’altro.
L’antropologia culturale valorizza il carattere relativo e dinamico della cultura, quale insieme sistemico delle conoscenze, delle credenze, della morale, delle abitudini, delle pratiche che strutturano l’agire quotidiano di una comunità e che conferiscono un significato al reale (per ridurne l’incertezza) e al noi (per definire l’identità).
Per la sociologia, il focus della riflessione sul concetto di cultura non è rappresentato, come nell’antropologia culturale, dalla comparazione tra le diverse culture, ma dal ruolo che essa riveste all'interno di un sistema sociale: la cultura è definita, infatti, come la rete di significati e l’insieme delle rappresentazioni sociali che una determinata società condivide, trasmette e reitera, attraverso i processi di socializzazione e di comunicazione.
Nella psicologia sociale, che rappresenta lo studio scientifico delle modalità attraverso cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti degli individui sono influenzati dalla presenza, reale o immaginata, di altre persone, il concetto di cultura viene evidenziato quale insieme di modelli che si pongono alla base dei processi di costruzione dell’identità psicologica e sociale di individui e gruppi.
Il breve excursus qui proposto, sebbene forse un po’ semplicistico:
è utile per far emergere con chiarezza la natura sociale, prima ancora che psicologica, della cultura, da intendersi quale risultato e, allo stesso tempo, condizione del percepire e dell’agire di individui e gruppi all’interno di un sistema sociale;
riflette e ripropone il percorso che ha portato a formulare un modello formativo11 che pone la dimensione sociale della cultura come base per un cambiamento efficace e duraturo dei comportamenti e degli atteggiamenti di individui e gruppi rispetto al tema della sicurezza.
Cultura organizzativa e cultura organizzativa della sicurezza
Le organizzazioni sono sistemi sociali complessi, sviluppati per raggiungere obiettivi specifici attraverso la messa in comune e la gestione organizzata di risorse, conoscenze e lavoro; la cultura organizzativa è l’insieme di assunti fondamentali, valori, ideologie, opinioni, conoscenze e modi di pensare che sono condivisi dai membri di un’organizzazione.
Riteniamo importante sviluppare in questa sede un discorso sulla cultura organizzativa dal momento che ad essa si fa riferimento quando si parla di cultura della sicurezza nelle imprese: in particolare, i comportamenti e le prestazioni di un individuo non possono essere comprese o modificate se non vengono ricondotte alla cultura dell’organizzazione entro cui opera.
Edgar Schein12 attribuisce alla cultura organizzativa due principali funzioni:
risolvere i problemi di adattamento esterno: attraverso il consenso su una definizione univoca di mission e strategie, obiettivi e risorse, valutazioni e correttivi;
risolvere i problemi di integrazione interna: attraverso la condivisione di linguaggio e categorie concettuali comuni, di modelli percettivi e comportamentali, valori, incentivi e sanzioni.
Schein approfondisce il discorso sulla cultura organizzativa identificando tre livelli in cui essa si compone.
Fig. 3 - I livelli della cultura organizzativa secondo Edgar Schein
Gli artefatti, che rappresentano il livello più superficiale e più manifesto della cultura di un’organizzazione: lo spazio, il lay out, la cartellonistica, il linguaggio scritto e parlato, il dress code, la tecnologia rappresentano alcune delle manifestazioni tangibili e visibili – anche se spesso non decifrabili – attraverso cui un’organizzazione esprime la propria cultura.
I valori dichiarati, che rappresentano il livello intermedio: strategie, obiettivi, filosofie, ideologie, aspirazioni espressi che orientano le scelte e le azioni socialmente premiate e premianti. Un valore dichiarato che venga sperimentato come utile e positivo potrà essere trasformato cognitivamente in convinzione, e sedimentarsi, ad un livello più profondo, come assunto di base.
Gli assunti di base, che rappresentano il livello culturale più profondo e inconsapevole: sono gli assunti impliciti e scontati, che determinano in maniera automatica le percezioni, le credenze, i sentimenti, i pensieri di base dei componenti di un gruppo.
Secondo una definizione classica che Schein propone, la cultura organizzativa è
un insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna – che si è rilevato così funzionale da poter essere considerato valido e, quindi, da essere indicato ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi13.
Creare e sviluppare una cultura della sicurezza in azienda, significa, dunque, che l’adozione di comportamenti sicuri non venga percepita come un obbligo (e quindi un vincolo) imposto dall’organizzazione ai lavoratori, ma sia il naturale risultato dell’assunzione della sicurezza stessa come un valore che orienta scelte e condotta: inserire la sicurezza tra i valori dichiarati nel codice etico dell’azienda, conseguire certificazioni aziendali sulla sicurezza del posto di lavoro, definire una struttura deputata al controllo interno del rispetto delle norme di sicurezza rappresentano condizioni necessarie ma non sufficienti a diffondere una reale cultura della sicurezza, specie se, ad esempio, la cultura aziendale è fortemente gerarchica e burocratica.
D’altro canto, indossare i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale14) perché si è convinti della loro utilità, e non per evitare il richiamo del proprio capo; assumersi l’impegno di influenzare il collega perché adotti comportamenti più sicuri, piuttosto che evitare il confronto con lui nella convinzione che ciascuno sia responsabile delle proprie azioni e decisioni; percepire il commitment, le strategie e gli obiettivi del top management in tema di sicurezza come coerenti rispetto al proprio modo di rapportarsi all’ambiente lavorativo, piuttosto che come elementi verso cui assumere posizioni di resistenza sono manifestazioni concrete di una cultura della sicurezza interiorizzata dai lavoratori che spesso nella realtà risulta non facile da riscontrare.
Per stilare una sorta di decalogo, ecco alcuni attributi fondamentali di una cultura della sicurezza capace di andare oltre la norma:
le relazioni a tutti i livelli sono forti e formano la base per risultati straordinari;
la sicurezza è un valore sia per l’azienda, sia per gli individui che ne fanno parte; non è vista come una priorità in contrasto con gli altri obiettivi del business e della qualità;
il centro dell’attenzione per la sicurezza è sulle persone più che su sistemi, numeri e statistiche;
i Leader si prendono cura della salute e del benessere del loro personale;
esiste una cultura di fiducia in virtù della quale registrare e riferire senza timori gli incidenti;
i dipendenti partecipano attivamente allo sviluppo e all’implementazione dei processi di sicurezza;
l’esperienza dei dipendenti è trattata con dignità, equità, e rispetto;
i dipendenti ricevono un feedback positivo per il loro contributo e impegno verso la sicurezza;
i dipendenti a tutti i livelli si occupano di sicurezza e hanno responsabilità per colleghi e collaboratori;
i Contractors sono pienamente integrati e sono visti come partner alla pari (full partners).
Un modello formativo: le tre dimensioni della cultura della sicurezza15
Oltre ad un’importante quota di infortuni legati alla mancanza o alla trascuratezza dei sistemi tecnici di sicurezza sulle macchine e sugli impianti, è elevato anche il numero degli infortuni cosiddetti comportamentali, cioè quegli infortuni che, pur avvenendo in orario di lavoro e in ambito lavorativo, non sono strettamente connessi alla pericolosità intrinseca del tipo di lavorazione o della macchina, ma sono generati da lapsus infortunistici dell'individuo, determinati cioè dall'influenza di fattori come l'attenzione, la percezione, la consapevolezza del rischio, la motivazione verso il lavoro, il clima organizzativo, la comunicazione.
Assumono perciò un ruolo fondamentale l'informazione, la formazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori: aspetti di natura prevalentemente culturale un tempo poco valorizzati o comunque ritenuti secondari.
Occorre quindi trasformare un comportamento coercitivo, voluto dall'alto, in una esigenza per lavorare meglio: gli strumenti legislativi debbono poter insistere su una cultura della sicurezza che vada realmente oltre la mera applicazione formale di una norma.
La prospettiva da cui nasce il modello formativo proposto è quella di:
formare un elevato numero di persone, di ruoli anche diversi (sia operai che manager), intorno al tema della sicurezza all’interno dell’ambiente lavorativo, in modo tale che venga percepita la trasversalità del valore sicurezza, indipendentemente dal ruolo e si creino le condizioni, l’humus culturale per agire sul lavoro secondo una visione di prevenzione comune e condivisa;
sviluppare un percorso formativo sulla sicurezza strutturato in modo diverso da quelli tradizionali e tecnici, orientato a stimolare il coinvolgimento attivo dei partecipanti e una riflessione più profonda sulla propria responsabilità, individuale e di gruppo, rispetto alla diffusione di una cultura efficace della sicurezza a lavoro;
innescare un processo di sensibilizzazione virale per la diffusione di una cultura della sicurezza in azienda, che potesse fondarsi sul protagonismo di ciascuno in qualità di portatore sano di sicurezza, indipendentemente dal ruolo e dalla anzianità, ma in virtù di una cultura organizzativa comune.
La finalità ultima è quella di puntare a coinvolgere i lavoratori in un processo di effettivo cambiamento culturale e tradurre una norma formale in commitment sentito, agito e fatto rispettare da tutti.
Il modello formativo si sviluppa come percorso di sperimentazione e riflessione su tre dimensioni:
una dimensione cognitiva attraverso la quale condividere gli elementi conoscitivi fondamentali e alcuni aspetti informativi basilari della sicurezza sul posto di lavoro;
una dimensione sociale attraverso la quale far prendere consapevolezza dell’impatto che l’influenza sociale del gruppo esercita sulla definizione dei propri atteggiamenti, delle proprie rappresentazioni della realtà e sulle proprie percezioni del rischio;
una dimensione pragmatica attraverso la quale definire e condividere azioni e comportamenti, personali e di gruppo, funzionali alla diffusione della sicurezza.
Fig. 4 – Il modello Asset Management: le tre dimensioni della cultura della sicurezza.
Ciascuna di queste tre dimensioni viene presentata, per poter rispondere a finalità esplicative, in modo distinto, nonostante sia sostanzialmente difficile delimitarne confini precisi e invalicabili. L’aspetto fondamentale è, comunque, il fatto che queste tre dimensioni, parzialmente sovrapposte, rappresentino i tre step di un vero e proprio percorso di scoperta e di progressiva presa di consapevolezza nel quale i partecipanti ad un percorso formativo di questo genero dovrebbero essere coinvolti.
La dimensione cognitiva della cultura della sicurezza
Non è difficile riscontrare che una persona accetti di lavorare in condizioni rischiose perché percepisce come minima o nulla la pericolosità della situazione: agisce così in uno stato di non consapevolezza relativamente a procedure, regole, ruoli e rischi per via di una mancanza di esperienza o di preparazione specifica.
D’altro canto, sono anche frequenti i casi in cui sia la mancanza di attenzione (temporanea o protratta, poco importa) a rappresentare la causa di infortunio: lavorare in impianto, ad esempio, in condizioni di elevato stress psico-fisico oppure, più semplicemente, mentre si pensa ad altro, è una situazione in cui la distrazione determina insicurezza.
Le situazioni di pericolo possono essere collocate su un unico continuum, che iniziando da quelle “subite” (come nel caso del lavoratore al nero che ha come primo scopo quello di garantirsi una forma di sussistenza), continua con quelle “ignorate” (come l’autotrasportatore che decide di non rispettare le regole per poter effettuare un maggior numero di consegne nella giornata), per concludersi con quelle “ricercate” (come l’elettricista che non toglie tensione al sistema per “dimostrare” di sapere perfettamente dove intervenire senza toccare i cavi pericolosi)16.
Perché la percezione del rischio è differente da persona a persona, e da situazione a situazione?
Perché in alcuni casi a guidare il nostro agire è il perseguimento di un bisogno (ad es. dimostrazione di competenza, raggiungimento di un obiettivo, salario minimo) contrastante o preponderante rispetto alla necessità di garantire la propria - o altrui - integrità fisica?
Perché spesso gli incidenti sono riconducibili ad un non corretto allineamento tra rischio reale e rischio percepito?
Queste sono alcune delle domande fondamentali a cui un percorso formativo sulla cultura della sicurezza oltre la norma dovrebbe dare risposta, cominciando proprio dall’analisi e dalla riflessione su quegli aspetti che compongono la dimensione cognitiva della cultura della sicurezza e che rappresentano gli elementi fondamentali da conoscere per creare, prima di tutto, una condizione di consapevolezza comune e condivisa, necessaria per valutare in modo corretto il contesto in cui si opera, le proprie azioni e gli effetti che esse determinano.
Il primo passo da fare è, quindi, un passo indietro, per definire e condividere i concetti fondamentali, spesso dati per scontati, del fare sicurezza:
Che vuol dire “cultura della sicurezza”?
Che differenza c’è tra rischio e pericolo?
Quali sono le informazioni – relativamente a norme, procedure, ruoli e valutazione del rischio – che è necessario che io conosca per poter valutare correttamente la sicurezza o meno delle mie azioni?
Quali sono quelle condizioni soggettive – ad es. fatica, stress, malessere psico-fisico e demotivazione – che incidono direttamente sulla mia percezione del rischio e che rappresentano l’aspetto di human factor nell’eventuale determinarsi di un incidente?
È esaustivo e corretto attribuire la paternità di un incidente ad una sola causa (generalmente quella più evidente) oppure è necessario analizzare la catena degli errori, sia quelli latenti che quelli attivi, che hanno tutti concorso al verificarsi dell’evento accidentale?
Problematizzare intorno a questi elementi; cominciare a scoprire e a definire i confini del proprio ambito di responsabilità individuale (ad es. con la riflessione sullo human factor) relativamente alle condizioni di sicurezza proprie, altrui e dell’ambiente in cui si lavora; scoprire che norme, regole e procedure non sono soltanto imposizioni esterne, ma soluzioni organizzate a problemi e criticità comuni, rappresentano il primo passo verso un coinvolgimento reale e profondo dei lavoratori rispetto ai temi della sicurezza.
Tutto questo diversamente da alcuni interventi di formazione e di informazione aziendali - obbligo per legge del datore di lavoro - che si esauriscono con la semplice presentazione di concetti, regole, ruoli, procedure di sicurezza ed elementi del Documento di Valutazione dei Rischi, e che troppo spesso vengono percepiti dai partecipanti come semplicemente formali, se non noiosi o addirittura inutili.
La dimensione sociale della cultura della sicurezza
Fondamentale, in un’ottica di cultura della sicurezza è, naturalmente, la dimensione sociale: la prospettiva epistemologica assunta nella formulazione di questo modello è, infatti, principalmente di tipo psico-sociale e ed è stato dedicato più spazio alla riflessione su come il contesto sociale influenzi la nostra percezione del rischio e il nostro agire più o meno in sicurezza, piuttosto che a quella psicologica o psicanalitica.
Se l’esigenza organizzativa che ha portato a un modello di questo tipo è stata quella di sviluppare un percorso formativo capace di creare o consolidare le basi per la diffusione di una profonda cultura della sicurezza, lo è stata perché, di fatto, in azienda (non solo sugli impianti industriali e produttivi, ma anche più semplicemente negli uffici) continua a permanere un atteggiamento culturale che:
tende a far sottovalutare i rischi del proprio agire lavorativo, portando a dare priorità ad altri elementi;
orienta sforzi ed energie ad aggirare norme e procedure, percepite come scomode limitazioni da evitare.
Pertanto, «Come fare a modificare questo atteggiamento culturale?» è la prima domanda da porsi.
La risposta più soddisfacente è un’altra domanda: «Perché all’interno di molte realtà organizzative si è consolidata negli anni una cultura che percepisce la sicurezza al massimo come un obbligo e non come un valore?».
«Perché non c’è sufficiente controllo e c’è bisogno di un maggiore rispetto del principio della certezza della norma», si potrebbe rispondere a primo acchito, senza peraltro cadere in fallo. Sicuramente la dimensione del controllo è un aspetto fondamentale che dovrebbe essere sviluppato di pari passo rispetto a quello dell’aggiornamento normativo. Però risponde solo parzialmente alla domanda.
Assumere la sicurezza come un valore da perseguire e da difendere è percepito come poco conveniente e troppo impegnativo, anche per via del fatto che è difficile riscontrare nell’hic et nunc i vantaggi di un’ottica di questo genere.
Il cambiamento di una cultura organizzativa passa attraverso il cambiamento dell’individuo, e il cambiamento viene generalmente intrapreso solo se si percepisce un’utilità maggiore nell’adottare nuovi atteggiamenti e comportamenti, e si trasforma stabilmente in nuova cultura solo se condiviso collettivamente e se capace di generare il consenso sociale.
È per questo che in un modello formativo efficace è fondamentale la riflessione su alcune dinamiche relative all’influenza sociale per:
essere consapevoli di come e quanto alcuni nostri atteggiamenti e comportamenti siano condizionati dall’influenza dei nostri prossimi;
capire su quali leve agire per facilitare un cambiamento o il consolidamento di una cultura funzionale alla sicurezza;
condividere una visione comune per finalizzare con efficacia il cambiamento.
Influenza sociale: conformismo, minoranza attiva e opinion leadership
“Lo studio dell’influenza sociale approfondisce le modalità con cui i processi mentali, le emozioni, i comportamenti degli individui (o dei gruppi) sono modificati dalla presenza (effettiva o simbolica) di altri individui (o gruppi)17”.
L’influenza sociale può assumere diverse forme e manifestazioni: una delle più frequenti è rappresentata dal conformismo, inteso come l’influenza che la maggioranza esercita sull’individuo verso l’assunzione, più o meno consapevole, di atteggiamenti, opinioni e comportamenti18.
Spesso si è portati a pensare che una persona intelligente è in grado di decidere e di valutare con la propria testa e autonomamente senza subire alcuna forma di influenza da chi lo circonda.
Eppure, il fatto che fino a qualche anno fa fosse diffusa tra i giovani (e ancora continua ad esserlo in alcune zone di Italia) la “moda” di guidare il motorino senza il casco o con il casco slacciato perché “fa tendenza”, non è una manifestazione di conformismo celata dietro una pretesa di anticonformismo?
Cambiando semplicemente scenario, ma guardando al medesimo fenomeno, non è troppo difficile riscontrare il caso che l’impiego corretto e sistematico dei DPI in impianto o il rispetto delle indicazioni di sicurezza in ufficio vengano percepiti come “eccessi di zelo” spesso ridicolizzati e di fatto disincentivati all’interno delle squadre di lavoro e tra colleghi.
Il conformismo, o più correttamente la conformità, non è di per sé un fenomeno negativo dal momento che è un meccanismo fisiologico e necessario per l’affermazione e il consolidamento una cultura all’interno di un sistema sociale (che sia un gruppo di amici o una struttura organizzativa). Una situazione di rischio si riscontra quando ad affermarsi come culturalmente dominanti siano atteggiamenti, percezioni e comportamenti negativi (ad esempio, la guida in stato di ebbrezza, il mancato uso della cintura di sicurezza, la disinvoltura eccessiva nel cambiare una lampadina a casa) rispetto ai quali per un singolo individuo o un piccolo gruppo è più difficile assumere posizioni divergenti o contrarie (sebbene corrette).
E allora, se all’interno di una struttura organizzativa è diffusa una cultura semplicemente normativa della sicurezza o addirittura una cultura antagonista rispetto alle norme di sicurezza, come è possibile pensare di orientare in modo efficace sforzi ed energie verso un cambiamento realmente sostenibile?
Un gruppo minoritario che si afferma pro-attivamente come minoranza attiva può di fatto esercitare una forte influenza (sebbene inizialmente non troppo evidente ed eclatante) sulla maggioranza e avviare un processo di cambiamento delle posizioni dominanti.
Per far questo, però, è necessario che la minoranza attiva:
si faccia portavoce di un’istanza di cambiamento che non sia in completa contraddittorietà, ma possa essere integrata con quella della maggioranza;
dimostri coerenza tra ciò che afferma e ciò che fa;
dimostri costanza e stabilità delle proprie posizioni nel tempo;
promuova un cambiamento che comporti un’utilità riscontrabile e condivisibile da tutti.
Un altro caso in cui è possibile che la posizione maggioritaria venga modificata è quando sia un opinion leader (una persona cioè percepita e riconosciuta come fonte autorevole e affidabile dal gruppo sociale di riferimento) a promuovere un cambiamento, che, con molta probabilità non susciterà resistenza e, quindi, potrà essere più facilmente assunto da parte degli altri:
è più frequente riscontrare che un giovane segua il modello di vita del personaggio dello spettacolo che ammira o i consigli dei propri genitori?
qual è l’opinione che i lavoratori possono avere della sicurezza se il proprio capo turno decide di portare avanti le attività di squadra anche in condizioni di non completa sicurezza con l’obiettivo (per certi versi comprensibile, ma non tollerabile) di non ostacolare la produzione?
Pertanto, sensibilizzare anche poche persone intorno al fatto che la sicurezza debba - non perché sia un dovere, ma perché è utile ed è la cosa migliore per tutti - essere interiorizzata come un valore e portarle ad assumersi la responsabilità e l’impegno di affermarsi come minoranza attiva è un risultato importante e determinante verso la diffusione di una cultura della sicurezza oltre la norma.
Così come è fondamentale riflettere sulla responsabilità che, consapevolmente o inconsapevolmente, ciascuno di noi ha:
sia quando assume atteggiamenti e comportamenti scorretti che le persone a noi vicine potrebbero essere influenzati ad assumere come validi;
sia quando può affermarsi come promotore di un cambiamento che sia concretamente orientato al miglioramento della situazione attuale (e questo vale in primis per i leader di ruolo, ma non solo...).
Comprendere questi fenomeni di influenza sociale e ricondurli all’interno della propria realtà quotidiana rappresenta un passaggio indispensabile perché un intervento formativo possa diventare un’azione di sensibilizzazione e possa, quindi, avere un impatto organizzativo rilevante.
La dimensione pragmatica della cultura della sicurezza
Lavorare sulla dimensione pragmatica della cultura della sicurezza impone sia la sperimentazione di quanto scoperto attraverso la riflessione, sia la concreta messa in atto di azioni di miglioramento verso l’obiettivo di assumere la sicurezza come valore.
Come viene portato avanti l’obiettivo della sicurezza all’interno di altre realtà organizzative e quali soluzioni e best practice sono state adottate per risolvere problemi e criticità comuni anche alla mia realtà?
Quali sono quegli elementi che sono sotto il mio controllo e che intendo migliorare, in via prioritaria rispetto ad altri, per effettuare un ulteriore passo avanti verso una cultura della sicurezza?
Quali sono tutte le cause e tutti gli errori che si sono concatenati e hanno portato al verificarsi di un incidente accaduto in azienda? Cosa si sarebbe dovuto/potuto fare per evitarlo?
Qual è il tema, il comportamento, l’atteggiamento in termini di sicurezza che vorrei promuovere e intorno al quale vorrei sensibilizzare i miei colleghi?
Gli strumenti per rispondere con efficacia a queste domande sono molteplici e, naturalmente, da selezionare in funzione delle esigenze e caratteristiche specifiche della realtà organizzativa entro cui impiegarli: visite inter-aziendali, piani di azione, case studies, registrazione di spot (ideati e girati dal personale di aziende per sensibilizzare manager e colleghi) sono alcune soluzioni che permettono di coinvolgere in maniera critica partecipata i lavoratori.
Il principio basilare, comunque, che orienta il lavoro sulla dimensione pragmatica è espresso nell’evidenza che coinvolgere concretamente e fattivamente le persone in azioni e progetti legati ai temi della sicurezza nella propria azienda ne facilita la responsabilizzazione e la disponibilità a superare la percezione di coercizione e normatività che altrimenti la sicurezza potrebbe suscitare.
“Non
pensare a quello che la Sicurezza può fare per te, ma
a quello che tu puoi fare per la Sicurezza”
D’altro canto, è chiaro che risultati profondi e duraturi possono ottenersi molto più efficacemente solo se il management esprime e dimostra commitment nella medesima direzione: dare priorità ad aspetti come la produzione e la qualità, a scapito della sicurezza, o mancare di dare concreta risposta alle proposte o alle esigenze emerse in un dialogo (a questo punto solo formale) avviato con chi lavora è molto più rischioso che positivo, ed alimenta quel clima di sfiducia e demotivazione che tanto favorisce posizioni di resistenza, se non di opposizione.
Proattività e interdipendenza
Sviluppiamo una cultura proattiva della sicurezza in funzione della quale ogni lavoratore diventi attore protagonista per la sua diffusione in azienda. “Esprimi l’RSPP che è in te”.
Definiamo e condividiamo comportamenti e atteggiamenti, individuali e di gruppo, funzionali alla creazione e alla diffusione di una reale cultura della sicurezza.
Il cambiamento verso un’assunzione profonda e diffusa della sicurezza come habitus culturale dovrebbe essere guidato parallelamente sia a livello individuale che a livello organizzativo.
In entrambi i casi è possibile semplificare il percorso di sviluppo immaginandolo come articolato in tre fasi.
A livello individuale, si dovrebbe puntare ad accompagnare i partecipanti ad abbandonare posizioni di passività rispetto ai temi legati alla sicurezza, verso comportamenti e atteggiamenti di tipo attivo e proattivo.
Fig. 5 – Atteggiamenti e comportamenti individuali
Passività: può essere intesa come la tendenza ad agire comportamenti sicuri solo per imposizione, abitudine, timore della sanzione e non perché la sicurezza è percepita come un valore.
Attività: può essere intesa come la tendenza ad agire comportamenti personali sicuri in funzione del valore interiorizzato della sicurezza. La percezione di responsabilità rimane limitata alla sfera individuale.
Proattività: può essere intesa come la tendenza ad agire comportamenti personali sicuri in funzione del valore interiorizzato della sicurezza e ad assumersi la responsabilità di provare ad influenzare positivamente gli altri verso questa scelta, indipendentemente dal ruolo ricoperto.
D’altro canto, a livello organizzativo, per favorire la creazione sinergica di sicurezza è necessario lavorare sull’abbandono sia di posizioni di dipendenza, che di posizioni di indipendenza funzionale, per assumere un’ottica integrativa di interdipendenza.
Fig. 6 – Atteggiamenti e comportamenti organizzativi
Dipendenza: è da intendersi come una visione organizzativa per cui la sicurezza è vissuta come esecuzione di compiti e come rispetto della norma e della gerarchia.
Indipendenza: è da intendersi come una visione organizzativa per cui la sicurezza è vissuta come un valore e la sua messa in atto è delegata alla responsabilità e all’autonomia dei singoli individui o gruppi.
Interdipendenza: è da intendersi come una visione organizzativa per cui la sicurezza è vissuta come un valore comune e globale che si manifesta attraverso la pianificazione, la condivisione e la responsabilizzazione diffusa.
È fondamentale pertanto innestare a livello individuale una cultura della sicurezza che vada oltre la norma in coincidenza della presenza di una cultura organizzativa generale fondata sulla responsabilizzazione e la stimolazione del commitment di tutti i soggetti, in un’ottica partecipativa e non dialettica.
La sicurezza non può che essere un risultato di sinergia tra partner, non un compromesso tra controparti.
Fig.
7 – L’escalation
della cultura della sicurezza oltre la norma
Prevenzione e orientamento alla sicurezza: una competenza trasversale?
Accettare il valore della sicurezza significa non solo recepire, seguire e attenersi alla norma: significa caprine il significato e l’utilità, farla propria, trasferirla.
L’adesione a tale principio deve avvenire a tutti i livelli organizzativi, ma deve partire in primis da un top management capace di dimostrare orientamento strategico e reale commitment a guidare l’azienda in questa direzione, contemporaneamente su diversi livelli:
Dedicare e orientare investimenti per il miglioramento continuo dell’ambiente di lavoro: lavorare in un ambiente pulito e sicuro è rassicurante e motivante.
Valorizzare la sicurezza quale competenza trasversale aziendale, rispetto alla quale responsabilizzare il lavoratore e il manager sia in sede di assegnazione di obiettivi che di valutazione delle prestazioni (sia individuali che di gruppo).
Disincentivare e, se necessario, sanzionare scelte gestionali del middle management che siano orientate alla produzione e ai risultati a scapito della prevenzione e della sicurezza: la cultura della pianificazione deve sostituire la prassi diffusa del lavorare in emergenza e l’esempio dei responsabili deve essere positivo e funzionale alla sicurezza.
Identificare la prima fonte di controllo e di prevenzione nel lavoratore stesso che faccia proprio il valore della sicurezza, quale competenza fondamentale (accanto a quelle ormai più classiche della comunicazione, il problem solving, la gestione dello stress, etc) della sua professionalità e che senta la responsabilità di intervenire laddove il collega o il manager agiscano in modo rischioso e non corretto.
Valorizzare in modo efficace quelle soft skills come l’ascolto, la gestione del feedback, l’assertività, l’empowerment, il teamwork, funzionali a gestire un cambiamento aziendale verso una cultura della responsabilizzazione, e non della gerarchia, della proattività, e non dell’imposizione, della prevenzione, e non del controllo.
1 Amministratore Delegato di Tmek Electronics del Gruppo Telis e Professore incaricato di Economia e Gestione delle Imprese presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
2 Senior Consultant di Asset Management, società di consulenza strategica e Ricercatrice presso la Cattedra di Economia e Gestione delle Imprese presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
3 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2007/04/cdm-sicurezza-lavoro.shtml
4 Il rapporto ha come titolo: “Guardare avanti: l’impegno dei periti industriali per la sicurezza sul lavoro” redatto dal Censis e dai Periti Industriali e in corso di pubblicazione per la Franco Angeli Editore.
5 I Risultati dell’indagine: “La CSR in Italia: tra sperimentazione e consolidamento” è stata condotta dall’Osservatorio Istud-DNV attraverso la somministrazione di un questionario a grandi imprese (con un organico pari o superiore alle 500 unità). I dati riportati si riferiscono alle risposte fornite da 80 aziende sulle 323 contattate dall’Osservatorio.
6 La CSR – Corporate Social Responsablity, o Responsabilità Sociale d’impresa è attualmente un tema oggetto di forte interesse e discussione. Se concretamente attivata, permette una profonda innovazione nei modelli manageriali e organizzativi aziendali apportando un miglioramento nelle relazioni fra le aziende, i propri territori e comunità di riferimento e le proprie risorse umane. L’assunzione di responsabilità sociale da parte delle aziende implica l’impegno delle imprese a fare qualcosa di più, andando oltre il semplice rispetto della leggi vigenti e investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con gli stakeholders.
7 Ibidem.
8 Il rapporto ha come titolo: “Guardare avanti: l’impegno dei periti industriali per la sicurezza sul lavoro” redatto dal Censis e dai Periti Industriali e in corso di pubblicazione per la Franco Angeli Editore.
9 Ibidem.
10 Indagine ISFOL INDACO 2006: Le politiche di formazione nelle grandi imprese in Italia.
11 La Asset Management, società di consulenza di direzione aziendale con focus sulle Risorse Umane, ha formulato un modello formativo, descritto nelle pagine seguenti, applicato in progetti realizzati per aziende come Endesa Italia, Meridiana, Geasar, Eurallumina, Q8. Il modello è descritto in De Cesare S., Virdia L., Fioravanti G., La cultura della sicurezza sul lavoro oltre la norma, Franco Angeli, 2007. www.assetmgmt.it
12 Schein E. H., Cultura d'azienda e leadership. Una prospettiva dinamica, Guerini e Associati, Milano, 1998.
13 Schein, E.H., Verso una nuova consapevolezza della cultura organizzativa in Gagliardi P. (acd) Le imprese come culture, ISEDI, ed. Petrini, Torino, 1986.
14 Ad esempio, guanti, caschi, cuffie.
15 Cfr. nota 9.
16 Marco Picchi, Anna Maria Erba, “Perché l’ha fatto?” Il fattore umano come elemento cardine del Sistema di Prevenzione e Protezione, http://www.sapereperfare.it/articolo.php?id=466
17 Mucchi Faina A., L’influenza sociale, Il Mulino, Bologna, 1996.
18 In realtà esiste una sostanziale differenza tra il termine “conformismo” e quello “conformità”, avendo il primo un’accezione negativa legata alla condizione di sostanziale “passività” di chi subisce l’influenza della maggioranza, mentre il secondo esprime in moto neutrale il senso dell’adattarsi.
Si precisa però che, in questa sede, quando parleremo di “conformismo” intenderemo definire, in modo neutrale e senza alcuna connotazione necessariamente negativa, il fenomeno dell’influenza che la maggioranza esercita su un bersaglio.