LA VICENDA DI UN’IMPRESA LEGATA AL PERSONALE, AL TERRITORIO E ALL’IMPEGNO CIVICO.
dell’Ing. Federico Falck1
E’ emozionante vedere come la straordinaria cavalcata industriale della Falck si intreccia alla storia italiana, da quando, nel 1906, Giorgio Enrico Falck decise strategicamente di abbandonare le valli comasco-lecchesi, un territorio ricco di storia siderurgica, per trasferire le attività verso la pianura, un mondo più sviluppato che rappresentava il futuro.
Le difficoltà di mercato della Belle Epoque, la frenetica attività durante la Grande Guerra, gli anni difficili del dopoguerra con le rivolte sociali, la grande depressione, l’autarchia. Il secondo conflitto mondiale che portò distruzioni materiali e morali. I primi scioperi del marzo ’43. Il tentativo non riuscito da parte dell’occupante nazista di portarci via l’azienda. Il secondo dopoguerra e la ricerca di nuovi equilibri avvenuti non sempre senza tensioni e difficoltà .
Il piano Marshall permise la ripresa di investimenti produttivi e l’arrivo dell’innovazione da oltre oceano. La guerra di Corea e l’impennata dei prezzi delle materie prime. La quotazione in Borsa negli inizi ’60. L’autunno caldo del ’68 con scioperi particolarmente violenti nelle fabbriche. I due shock petroliferi degli anni ’70, con il conseguente inizio della crisi strutturale siderurgica che si protrarrà per più di vent’anni.
La scomparsa, agli inizi degli anni ’80, di tutte le aziende siderurgiche italiane “storiche”, tranne la nostra.
Gli anni di piombo e il pesante tributo di sangue pagato con la barbara esecuzione del Direttore del nostro impianto “ Unione”, ingegner Mazzanti.
Le continue ristrutturazioni industriali e organizzative, l’ultima occasione: l’accordo di specializzazione con l’ILVA. Dopo il suo fallimento vi fu il coraggio di chiudere la siderurgia a caldo.
La delusione di vedere realizzata da altri la strategia di creare una società elettrica forte a livello europeo.
La forza di ripartire verso un nuovo traguardo: essere dei protagonisti nelle energie rinnovabili.
Si chiudeva così un’attività siderurgica iniziata nel 1792 quando la famiglia Rubini, con una lunga tradizione industriale già nella seta, decide di acquisire le forge di Dongo lungo le rive del Lago di Como e le miniere di ferro poco distanti. La Lombardia era famosa dal XVI secolo nella fabbricazione dell'acciaio per armi: la zona pedemontana si prestava molto bene alla produzione di acciaio perché vicina a corsi d'acqua che fornivano la forza motrice necessaria per le forge, inoltre vi erano miniere di ferro e i grandi boschi assicuravano il carbone di legna necessario. La tradizione si è mantenuta nei secoli, subendo un’impennata alla fine del XVIII secolo grazie all'utilizzo dell'acciaio in numerosi campi.
Nel 1833 l'alsaziano George Henri Falck è invitato a Dongo per le sue conoscenze tecniche e per quelle siderurgiche, in particolare. Entra così in società con i Rubini e altri soci.
Nel 1863 il figlio Enrico sposa Irene Rubini, un'erede dell'azienda di Dongo.
Dopo alcune esperienze in altre industrie siderurgiche in Lombardia, Enrico Falck, alla sua morte prematura, lascia alla moglie la conduzione del Laminatoio di Malavedo, paese vicino a Lecco sul fiume Gerenzone, da cui traeva l’energia per la marcia dell’impianto.
Questa coraggiosa donna, per otto anni, alla fine dello XIX secolo, manda avanti l’attività fino alla maggiore età del figlio Giorgio Enrico. Gli accordi con gli altri due soci prevedevano la messa in comune del metallo e delle prime lavorazioni a caldo. I soci rimanevano liberi di fare il miglior uso dei prodotti. Nonostante le complessità della gestione industriale e commerciale, in un’epoca certo non favorevole all’emancipazione della donna sul lavoro, Irene si trasforma da madre di famiglia, affettuosa e dolce, in donna d’affari, avveduta e intraprendente, che nei giorni di mercato scendeva a Lecco per negoziare la sua quota di prodotto con i "chiodaiuoli" di Cantù.
I chiodi, nel ricordo del figlio Giorgio Enrico, furono il simbolo della povertà e della ricchezza della madre.
Così Giorgio Enrico subentrò nell’attività e decise di abbandonare le valli lecchesi e per scendere in pianura, prima a Rogoredo e, poi, nel 1906, a Sesto San Giovanni dove iniziò la storia della nostra società.
Proprio per questa discendenza dalla famiglia Rubini e per l'unione delle due aziende confluite in un'unica compagine, la Falck fa parte dell'associazione internazionale " les Hénokiens" che riunisce attualmente 38 imprese, possedute e condotte da più di 200 anni dalla stessa famiglia .
Ebbe così inizio la storia della Falck: in data 26 gennaio 1906, in Piazza della Scala 3, nella sede della Banca Commerciale Italiana, il comm. Angelo Migliavacca, proprietario della Ferriera di Vobarno, Giorgio Enrico Falck, l’avv. Filippo Rubini, cognato del precedente, l’ing. Emilio Tansini, il cav. Francesco Queirazza e due procuratori della banca costituirono la SOCIETA' ANONIMA ACCIAIERIE E FERRIERE LOMBARDE, con 6 milioni di lire di capitale, che comprendeva la ferriera di Dongo in liquidazione, quella di Vobarno (Brescia) e che immediatamente acquistò, a Sesto San Giovanni, i primi terreni (12 ettari a ridosso della ferrovia) per la costruzione di un nuovo complesso siderurgico. Presidente fu nominato il comm. Migliavacca, delle Ferriere di Vobarno, Vicepresidente e Consigliere delegato Giorgio Enrico Falck.
Il nuovo progetto prevedeva la costruzione a Sesto San Giovanni di un’Acciaieria Martin Siemens (4 forni da 30 35 t), destinata a diventare il perno centrale dell'attività produttiva dell'azienda, e di alcuni laminatoi per la produzione di travi, ferri sagomati, ferri da costruzione. Nel marzo del 1908 fu acceso il primo forno Martin Siemens, che già nel mese di giugno colò più di 3.000 t. Il primo laminatoio fu avviato poco dopo. Nell'agosto del 1909 fu inaugurato il Treno Grosso che assorbiva anche la tradizionale produzione di travi di Vobarno. Il secondo forno dell'acciaieria entrò in esercizio nel settembre del 1910.
La Società Falck, assorbì, nel 1911, la Ferriera di Milano produttrice di ferri laminati, alla Gambaloita, fuori Porta Romana, portando il capitale sociale a lire 8.700.000.
Tra il 1913 e il 1914 iniziò a funzionare, nello stabilimento di Porta Romana a Milano, l'impianto per la fabbricazione di tubi senza saldatura, impianto che completava un treno per lama da tubi (300 mm) posto in opera nel 1912 e integrato da una trafileria di tubi a caldo e a freddo. Nello stesso tempo fu posto in opera, sempre a Porta Romana, un impianto per la fabbricazione della vergella.
L’apporto della “Ferriera di Milano” tra i tanti suoi fortunati effetti, diede modo alla società di potersi avvalere della competenza, come direttore centrale, del direttore cav. Ludovico Goisis che aveva fatto pratica nelle ferriere belghe e aveva creato a Porta Romana un impianto di laminazione del ferro a pacchetto, della moietta, e di tubi saldati. L’amicizia fraterna e la stima reciproca che legò subito Goisis e Falck, che durò viva e proficua per quasi trent’anni, sino alla morte del primo, costituì una forza per la Società.
Nel giro di un decennio si costruirono, nelle immediate adiacenze dell'originario stabilimento "Unione" a Sesto San Giovanni, gli stabilimenti "Concordia", destinati alla produzione di lamiere e tubi saldati, "Vulcano" per la produzione di ferroleghe; ai quali si aggiunse un quarto stabilimento, "Vittoria", per la produzione di fili d'acciaio e derivati. Nello stesso periodo, il complesso aziendale assorbì un opificio in Arcore, specializzato nella trafileria del filo d'acciaio e nella fabbricazione di reti metalliche. Parallelamente dal 1917 la Società dette inizio, con la centrale di Boffetto sull'Adda in Valtellina, alla realizzazione di una catena d’impianti idroelettrici, per alimentare gli stabilimenti di Sesto San Giovanni con energia elettrica di autoproduzione.
Una strategia, quella dell’indipendenza energetica, dimostratasi basilare e vincente per il nostro sviluppo in siderurgia, e che ci permetterà di risollevarci dopo l’uscita dalla siderurgia a caldo.
Il complesso degli impianti idroelettrici sociali risulterà, al termine del programma, nel 1962, costituito da 9 serbatoi stagionali per un invaso totale di 82 milioni di metri cubi, 15 centrali idroelettriche in Valtellina e nell’Appennino toscano e piemontese, per una capacità produttiva annua di oltre 800 milioni di kWh e una termoelettrica consortile poi nazionalizzata, servite da una rete di linee a media e alta tensione, comprendente circa 900 Km di terne di conduttori per collegare gli impianti produttivi a tutti nostri centri di consumo e di distribuzione e con le altre reti elettriche nazionali.
Nel 1924 fu acquistata la società Cantieri Metallurgici Italiani, che produceva “latta”, con stabilimenti a Castellammare di Stabia e, dal 1930, a Napoli.
Dal 1926 s’istituirono, presso tutti gli stabilimenti sociali, laboratori di ricerca e di controllo, dotati di apparecchiature per lo studio dei problemi concernenti le varie fabbricazioni, ai fini di un continuo miglioramento qualitativo della produzione. Nel frattempo la Società allargò l'attività a Zogno (Bergamo) per la produzione di materiali refrattari, a Schilpario (Bergamo) per l'estrazione del minerale di ferro.
Nel 1928 ebbe inizio presso lo stabilimento primogenito di Dongo la fabbricazione dei raccordi in ghisa malleabile.
Il 1929 vide l'entrata in esercizio al "Vulcano" del primo forno elettrico chiuso per la produzione di ghisa dalle ceneri di pirite agglomerata.
Nell'aprile 1931, nel venticinquesimo dalla fondazione, l'azienda modificò la ragione sociale in "Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck " (A.F.L. FALCK), che, nel 1942 diventerà Società per Azioni.
Nel 1933 aprì i battenti il quinto stabilimento in Sesto San Giovanni, "Vittoria S", specializzato nella trafilatura della vergella.
Nel 1935 furono fondate le Acciaierie di Bolzano, per la produzione di acciai speciali; precisamente per cuscinetti, inox, legati e da utensili.
E’ interessante la nascita delle Acciaierie di Bolzano. Mussolini all’inizio degli anni ’30, chiamò i maggiori industriali italiani (Agnelli, Montesi, Falck) “invitandoli” a costruire delle fabbriche a Bolzano. Si era accorto che l’ Alto Adige pur essendo territorio italiano dalla Grande Guerra, aveva la popolazione di lingua e cultura tedesca e ciò era per lui intollerabile.
Giorgio Enrico, come anche gli altri industriali “invitati”, aderì e reclutando manodopera dal Veneto e da Vobarno, costruì lo stabilimento siderurgico. Negli anni seguenti riuscimmo a impiegare un piccolo gruppo di abitanti di lingua tedesca, che nella sua grande maggioranza restò ostile agli insediamenti industriali “italiani”. Contemporaneamente iniziò la produzione della Lama Bolzano. Emblematico lo slogan pubblicitario per le lamette “Lama Bolzano radi italiano”.
Un moderno “Centro Ricerche e Controlli" in Sesto, nello stabilimento Unione, divenne un valido strumento per la ricerca scientifica sulla qualità e sulle caratteristiche dei materiali ferrosi, per il controllo e il perfezionamento dei cicli produttivi nelle lavorazioni metallurgiche e meccaniche.
Il quinquennio bellico fu forzatamente un periodo di stasi per gli investimenti. La Società continuò a produrre, a ritmo assai ridotto, tra difficoltà sempre più numerose e gravi, subendo danni notevoli agli impianti e ai fabbricati. Fu anche teatro d’aspri scontri sociali e politici sfociati negli scioperi antiregime del marzo 1943.
Il 30 aprile 1945 Giorgio Enrico Falck lasciò la presidenza al primogenito Enrico che, a sua volta, eletto Senatore DC nel collegio di Lecco nel 1948, la lasciò al fratello Giovanni, secondo figlio di Giorgio Enrico.
Un altro dirigente deve essere citato come protagonista delle fortune della “Falck”, l’ing. Riccardo Lampugnani, coetaneo e compagno d’università di Giovanni Falck, che salì tutti i gradini della carriera fino alla carica di Consigliere Delegato nel 1966, occupandosi anche di due importanti partecipazioni SAE di Lecco, produttrice di pali per il trasporto d’energia elettrica e l’ATB di Brescia caldereria.
L'azienda uscì dalla guerra con gli impianti parzialmente danneggiati, soprattutto a Vobarno, e in gran parte superati dal rapido progredire della tecnica. Con i fondi messi a disposizione dal Piano Marshall, furono trovati i mezzi che permisero all'Azienda di ricostruire lo stabilimento di Vobarno e di installare presso tutti gli altri stabilimenti moderni impianti di fabbricazione americana a tecnologia moderna, in luogo di quelli distrutti od ormai antiquati.
Iniziò la ripresa.
E' del 1952 l'installazione presso l'acciaieria dello stabilimento Unione dei primi due forni elettrici "Lectromelt", che utilizzavano come materia prima il rottame di ferro. L'anno successivo partì, ad Arcore un moderno stabilimento per la produzione di tubi senza saldatura, dotato di un impianto a estrusione, cui fece seguito nel 1956 la messa in esercizio presso il Concordia del grande laminatoio per lamiere “ Mesta “, di fabbricazione americana, l'installazione del terzo forno elettrico presso l'acciaieria Unione, l'entrata in esercizio al Concordia (1958) dell'impianto per la produzione dei tubi saldati a grande diametro, impiegabili principalmente per condotte forzate, il completamento dell'acciaieria elettrica Unione con la messa in opera del quarto forno elettrico (1959) e l'avvio della seconda pressa a estrusione per tubi senza saldatura ad Arcore (1960).
Agli inizi degli anni '60, si raggiunse a Sesto la massima espansione territoriale tre milioni di metri quadri di superficie, con 385.000 mq. coperti.
Fu istituita, nell’anno accademico 1961/62, grazie ai fondi messi a disposizione dalla Società e dalla famiglia Falck, la Cattedra di Siderurgia al Politecnico di Milano, per la formazione d’ingegneri siderurgici.
Nel 1963 la Società, come prima azienda siderurgica in Italia, venne quotata presso la Borsa Valori di Milano.
Nello stesso anno venne realizzata la nuova acciaieria nello stabilimento Concordia che fu inaugurata dal Presidente Saragat. Dotata di due moderni forni elettrici da 110 t ciascuno, completata nel 1970 dall'installazione di un impianto di colata continua per la produzione di bramme destinate ad alimentare il treno lamiere, in sostituzione dei tradizionali lingotti.
Sempre nel 1963 entrarono in esercizio a Sesto San Giovanni due impianti per il recupero e la chiarificazione delle acque industriali per gli stabilimenti Unione e Concordia. In questi anni la Falck con un imponente programma di investimenti, dando dimostrazione di una certa lungimiranza, provvide ad installare gli impianti di captazione fumi e polveri su tutti i forni elettrici.
Nel 1964, entrò in esercizio lo stabilimento di Novate Mezzola (Sondrio) per la produzione di ferro cromo surraffinato, lega base per gli acciai inox. Il 1966 vide l'avviò, presso lo stabilimento Unione, del nuovo laminatoio per billette e tondoni (Bito) e, nell'anno successivo, s’ammodernò radicalmente, al Vittoria B, il laminatoio Bliss per la produzione di nastri stretti (larghezza 650 mm) a basso tenore di carbonio laminati a freddo. Entrò in esercizio ad Arcore, nel 1969, l'impianto Assel per la laminazione a caldo di tubi senza saldatura meccanici di precisione, destinati all'industria dei cuscinetti a rotolamento e meccanica.
Contemporaneamente iniziò a produrre al Vittoria, un laminatoio per finitura e spianatura sotto tiro del nastro laminato a caldo, e a Vobarno un laminatoio a freddo per nastro stretto a medio-alto tenore di carbonio.
Nel 1971 la Società raggiunse, quale principale gruppo siderurgico privato, una posizione di notevole rilievo in campo nazionale. La produzione annuale di acciaio toccò, infatti, il tetto di 1.250.000 t, pari a circa 8% dell'intera produzione nazionale.
Il 30 aprile 1971 Giovanni Falck lasciò la presidenza al fratello Bruno. Si portò dietro un vecchio compagno di università, l’ing. Vincenzo Ventaffridda, che lungo la sua carriera in società arrivò a ricoprire la carica di Vicepresidente della Falck dal 1971 al ‘79.
Continuò l’ampliamento e il rinnovamento degli impianti al fine di migliorare sempre più la qualità dei prodotti. Fu installato, nel 1973, presso la Fonderia di Dongo un nuovo impianto per la formatura e il colaggio dei raccordi in ghisa malleabile. Tre anni più tardi cessò l'attività lo stabilimento Vulcano e si smantellò l'acciaieria Martin Siemens all’Unione, utilizzatrice della ghisa prodotta al Vulcano, sostituita da un'acciaieria elettrica (T3) comprendente un impianto di colata continua a due vie per bramme, che entrò in esercizio sul finire del 1976. Nel 1980 fu installato, per migliorare la sanità interna degli acciai prodotti, un impianto di degasaggio sotto vuoto e di affinazione dell'acciaio fuori forno presso l'Acciaieria Unione nella quale, due anni più tardi, entrerà in esercizio un impianto di colata continua verticale rotativa per tondoni che consentirà, unitamente alle due colate continue installate, una nella stessa Acciaieria e l'altra in quella dello stabilimento Concordia, di colare attraverso le colate continue il 100% dell'acciaio per l'alimentazione dei tre fondamentali prodotti sociali: lamiere, nastro stretto, tubi senza saldatura.
Il direttore dello
stabilimento Unione, ingegner Manfredo
Mazzanti,
fu assassinato sotto casa a Milano dalle Brigate Rosse, per mano
della colonna Walter Alasia, il 28 novembre 1980. Pur ferita
profondamente nello spirito, dopo aver perso un brillante dirigente e
fine metallurgista, la Società e l’ambiente seppero
reagire con fermezza e determinazione.
Nel 1982 entrò in esercizio al laminatoio del Concordia un impianto di regolazione automatica di spessore, che consentì di produrre lamiere con tolleranze ristrette.
Nel 1984 iniziarono a produrre, all'Unione, il forno elettrico T4 a completamento della nuova Acciaieria elettrica e, ad Arcore, l'impianto riduttore a stirare da 28 gabbie per tubi senza saldatura.
Tuttavia dopo l’anno successivo al 1974, anno boom per la siderurgia mondiale, iniziò il travaglio del mercato e si palesò una crisi europea strutturale di sovrapproduzione, che con l’eccezione del primo semestre 1980 e del biennio 1987-89, si manifestò con il passare del tempo sempre di più con maggiore virulenza fino alla metà degli anni ’90. Nel 1981, nell'ambito CEE, venne adottato il Piano Davignon, dal nome dell’omonimo Commissario all'Industria della commissione CEE, che dichiarò la “crisi manifesta” secondo l’articolo 58 del Trattato Ceca, fissando quote di produzione per ogni azienda accanto all’adozione di un listino prezzi a cui uniformarsi. Fu lanciato un piano europeo di riduzione di capacità di produzione, nel tentativo di eliminare l’eccesso d'offerta. Il piano Falck di ristrutturazione fu approvato dalla Commissione europea nell'aprile 1983.
Nell’ottobre 1982 Bruno Falck aveva lasciato la presidenza al nipote Alberto, figlio di Enrico, e la vicepresidenza al cugino Giorgio, figlio di Giovanni, che diventò anche Consigliere Delegato. Nel 1982 e 1983 il Parlamento italiano approvò due leggi che concedevano aiuti finanziari alle imprese siderurgiche che avessero smantellato impianti obsoleti: Falck rottamò sei forni elettrici, il laminatoio sbozzatore blooming, il Bito, due presse a estrusione per tubi senza saldatura.
Da ricordare la troppo breve esperienza come Direttore Generale dell’ing. Luca Capraro (scomparso in un tragico incidente), che diede, nel biennio 1985- 87, un grosso impulso alla ristrutturazione del personale e alla razionalizzazione organizzativa del Gruppo.
Nel 1986, nell’ambito di un necessario rafforzamento finanziario, s’effettuò un aumento di capitale per circa 73 miliardi di lire e nel 1987 un secondo di circa 66 miliardi di lire.
Nel 1990 la Società, con l’arrivo come Consigliere Delegato dell’ing. Achille Colombo, un manager d’esperienza esterna al settore siderurgico, iniziò un impegnativo progetto di riposizionamento attraverso un complesso accordo strategico di specializzazione con ILVA, di proprietà statale, al fine di focalizzarsi sui core business nastri, lamiere e prodotti lunghi speciali, cedendo le produzioni di tubi senza saldatura in Arcore, banda stagnata e lamierino zincato dei Cantieri Metallurgici di Napoli e acquisendo la maggioranza di ITLA, produzione di lamierino laminato a freddo, a Oggiono (Lecco). Nello stesso anno si procedette alla cessione dello stabilimento di Dongo e fu aumentato il capitale per complessivi 212 miliardi di lire, durante tale aumento ILVA entrò, con il 5%, nel capitale di AFL Falck
Nel 1991 la Società divenne holding industriale dopo la trasformazione in spa delle divisioni industriali in società separate.
A luglio del 1994 l'accordo con ILVA, già di fatto non più operante, sfociò in una rottura formale con la conseguente attivazione di procedura d'arbitrato che si chiuse alcuni anni dopo con una transazione a nostro favore.
Una diversificazione di gran successo fu la Sondel, diventata in pochi anni il secondo produttore privato italiano d’energia. La produzione di energia elettrica sarebbe diventata il core business del gruppo a fronte della chiusura della siderurgia a caldo.
Sondel nacque, nel 1985, dallo scorporo da A.F.L. Falck delle centrali idroelettriche storiche.
Quotata in Borsa dal 1987, dal 1990 iniziò a sviluppare impianti a ciclo combinato di cogenerazione alimentati a gas naturale. Fino ad arrivare a 1460 Megawatt di potenza elettrica installata, 25 impianti diffusi su tutto il territorio italiano, oltre 80 MW termici forniti a reti di teleriscaldamento a parte di Sesto San Giovanni e di Cologno Monzese.
Il Gruppo Sondel operava, inoltre, nel settore della progettazione, realizzazione, gestione e manutenzione d’impianti per la produzione d’energia, con attività non solo in Italia, ma anche all’estero (India, Senegal, Turchia).
Nel 1995 fu ceduta la controllata Acciaierie di Bolzano e in base alla legge 481/94, che prevedeva contributi per lo smantellamento degli impianti siderurgici, con l’obbligo d’uscita dalle produzioni CECA, il Gruppo con una decisione molto sofferta e delle divisioni altrettanto laceranti tra gli azionisti di famiglia, decise di smantellare il treno lamiere e la totalità degli impianti siderurgici di Sesto San Giovanni. La cessazione della produzione avvenne nel gennaio 1996. Con la preventiva autorizzazione della Commissione europea e delle autorità nazionali e, previo accordo con le autorità locali e con i sindacati operai, nel primo semestre 1996 si procedette alla rottamazione di tutti gli impianti siderurgici di Sesto. Il processo si completò con la cessione dello stabilimento di Vobarno.
Nel 1996, fu aumentato il capitale per complessivi 130 miliardi di lire.
La riconversione della Falck andò avanti con la risoluzione degli esuberi ex-siderurgici (970 nel gennaio 1996 al momento della chiusura della siderurgia a caldo), con il rapido sviluppo della Sondel, attraverso l’accordo con il gruppo Agarini per la creazione di una realtà nazionale (CMI) capace di recitare una parte da protagonista nell’Ambiente, soprattutto nella gestione dei termovalorizzatori di rifiuti urbani, con la riconversione di parte delle aree in Sesto, che saranno poi vendute al Gruppo del costruttore Pasini.
Importante la riuscita nell’opera di ricollocamento degli esuberi senza traumi sociali. Non ha precedenti in Italia una ristrutturazione così vasta e complessa, senza nessun licenziamento, attuata da un'azienda privata, usufruendo non solo di provvedimenti passivi, quali prepensionamento o cassa integrazione, ma anche attraverso iniziative di carattere attivo, finalizzate a soddisfare le esigenze delle aziende in tema di profili professionali. Per quattro anni abbiamo svolto un’intensa attività di ricerca del posto di lavoro, di predisposizione di piani per il reinserimento individuale con formazione mirata alla persona e alle sue attitudini, di assistenza al colloquio e all’assunzione finale. A questo complesso di servizi hanno avuto accesso più di due terzi delle persone in esubero. Tale importante sforzo organizzativo ed economico ha avuto pieno successo e riconoscimenti a livello d’Istituzioni e sindacati.
Sempre nel 1996, si mutò la denominazione sociale da A.F.L.Falck in Falck, segno della svolta storica compiuta dalla società.
Il 30 luglio del 2000 il Gruppo Compart, ex-Ferruzzi-Montedison, acquista, in accordo con la famiglia, dagli azionisti aderenti al Patto di Sindacato il 30% delle azioni Falck e lancia un’Offerta Pubblica d’Acquisto (OPA) sul flottante rimanente e sulle azioni della principale controllata Sondel.
Le due offerte si chiudono con adesioni quasi totalitarie. S’apre, quindi, la possibilità d’integrazione del Gruppo Falck con un gruppo, da oltre 22.000 Miliardi di fatturato contro i mille della Falck, presente nell’energia con Edison, nell’agro alimentare, nella chimica, nell’impiantistica e nella farmaceutica, con rilevanti sinergie nell’energia, ove vi era la possibilità di diventare insieme il secondo produttore italiano di elettricità.. . Una nuova sfida da affrontare e superare, con entusiasmo, all’alba del terzo millennio e vicini al nostro centenario.
L’assemblea del 27 febbraio 2001 della Montedison, ritornata nel frattempo al nome originario, boccia, inaspettatamente, il progetto di fusione tra Montedison e Falck, che avrebbe portato alla fusione susseguente di Edison e di Sondel. S’apre un periodo di grandi incertezze con forti lievitazioni dell’azione Montedison, culminato con il lancio di un’OPA ostile su Montedison da parte di una cordata costituita da Fiat, EDF (produttore d’energia elettrica di proprietà dello stato francese) Zalewski (dal 1995 rastrellatore di azioni Falck) e le tre banche Banco di Roma, San Paolo-IMI, Intesa. Gli ultimi quattro soggetti apportano azioni Montedison, Fiat apporta le proprie attività in campo elettrico, gli unici che spendono denaro fresco sono i francesi. Dopo una furibonda battaglia legale, guidata da Mediobanca, agli inizi d’agosto s’arriva a un accordo. E’ lanciata con successo l’OPA per le azioni Montedison. S’aprono immediatamente le trattative tra la cordata, nuova proprietaria di Montedison, e il Gruppo Falck, che sfoceranno nelle assemblee del 20-21 dicembre 2001 nelle quali è decisa la scissione non proporzionale di Falck da Montedison e la fusione Montedison-Edison-Sondel in un’unica società denominata Edison.
E’ realizzato senza di noi il disegno industriale che aveva visto il Gruppo Falck entrare in Montedison!
Alla Falck, dopo la scissione, restano la parte ambientale, l’acciaio e le partecipazioni in ADR (aeroporti di Roma) e un alcune banche. L’atto di scissione è firmato il 28 marzo 2002. Contemporaneamente era già in corso una trattativa per rilevare dal Gruppo Edison che vuole vendere tutte le partecipazioni non elettriche, la società d’ingegneria Tecnimont. Pur essendo sottoscritta l’intesa per acquistarla, a causa di un drastico peggioramento dei dati economico-patrimoniali reali comunicati dall’azienda subito a valle della firma, che mettono in discussione il prezzo pattuito basato su risultati previsionali dell’esercizio in corso e di altri prospettici molto migliori, per nostra volontà l’operazione non va a compimento.
Negli anni successivi si sviluppò il settore delle energie rinnovabili con Actelios, quotata dal febbraio 2002 alla Borsa di Milano nata dalla scissione di CMI, rimasta al socio Agarini, con i termovalorizzatori di rifiuti solidi urbani (RSU) e la produzione d’energia elettrica via eolica (Falck Renewables). Nel 2005 fu venduta a Gemina la nostra quota in Aeroporti di Roma.
Improvvisamente, il 3 novembre 2003, muore Alberto, tra grandi e diffusi riconoscimenti pubblici di apprezzamento dei valori e dei principi morali e umani cui era pervaso il suo agire di uomo e imprenditore. Da parte dell’opinione pubblica ci deriva la percezione di essere stati privati di una personalità di capacità altissime nel sociale, nell’imprenditoria, nell’associazionismo e con una profonda e vera fede cristiana, che si traduceva in comportamenti coerenti nella vita pratica.
Ricco di soddisfazioni è il nostro nuovo settore di espansione quello delle energie rinnovabili (vento e waste to energy), in grande sviluppo in tutto il mondo, nel quale stiamo crescendo con determinazione in Italia e in Europa.
La strategia impostata dopo la bocciatura della fusione ci sta dando ragione sia sotto l’aspetto dei risultati economici, lusinghieri. Sia sotto l’aspetto etico, siamo orgogliosi di poter produrre energia elettrica, indispensabile per la vita moderna, a impatto zero per le emissioni di CO2 e sui cambiamenti climatici, con un ridottissimo consumo di una materia prima sempre più preziosa per l’umanità come l’acqua.
La nostra storia è la testimonianza del continuo divenire di un azienda familiare. Capace di leggere il futuro, di innovarsi nei prodotti e nel modo di porgersi al mercato, di adottare le più moderne tecnologie, di formare il personale operaio, impiegatizio e dirigenziale per far crescere la loro qualità di vita e sviluppare l’azienda.
Pronta a prendere decisioni difficili e a essere in grado di dialogare con il territorio in modo trasparente e responsabile.
Colpisce con quanta nostalgia molti abitanti del Villaggio Falck a Sesto San Giovanni ricordano il suono delle sirene di cambio turno (alle 6 del mattino, alle 14 e alle 22) che ritmavano la loro giornata. O il rimpianto per i fumi rossi che fuoriuscivano dai forni fusori durante la fase ossidante del metallo. L’attaccamento alla “cupola” capta fumo in cima al capannone T3 (quasi una Madonnina per i sestesi), simbolo della Sesto passata.
Interessante riportare quanto detto dal Professor Sergio Bologna, storico ed esperto di problemi del lavoro in un suo intervento alla trasmissione televisiva sulla nostra storia siderurgica mandata in onda da Rai Education, il 24 febbraio 1999, intitolata “le fabbriche che chiudono”.
Descrive efficacemente l’influenza delle grandi fabbriche sul tessuto sociale durante la loro attività e dopo la chiusura.
Le prime fabbriche italiane, come la Falck, nascono agli inizi del secolo. Le grandi fabbriche della siderurgia, dell’auto, della chimica e così via nascono in genere in territori periferici, a volte delle “lande desolate”.
Nel momento in cui nasce una grande fabbrica, una grande costruzione, con le sue tecnologie e i suoi capannoni, il primo aspetto è il disegno del territorio, che acquista una sua dimensione, una sua configurazione. Il territorio si popola, da “landa abbandonata” diventa un luogo dove entrano ed escono uomini e merci.
Spesso davanti a queste fabbriche nascono quartieri, sistemi sociali e, soprattutto, nascono relazioni. Direi, quindi, che la grande fabbrica è sostanzialmente un vasto sistema sociale; e questo sistema sociale è necessario leggerlo su quattro distinti livelli.
Il primo è il disegno del territorio: una grande fabbrica cambia il paesaggio.
Poi, all’interno di questa fabbrica, ci sono degli uomini, che costituiscono delle comunità. La classe operaia è una comunità che sviluppa al suo interno dei valori di solidarietà, di antagonismo, di cooperazione; quindi sviluppa una sua cultura. All’interno della fabbrica ci sono anche i tecnici e il management.
La fabbrica racchiude e contorna una storia del territorio, una storia della classe operaia, una storia del management, tutte opere delle dinastie industriali, come i Falck, gli Agnelli e i Marzotto.
Poi c’è la storia della tecnologia. Questo è un punto estremamente importante perché, man mano che cambia la tecnologia, cambia il modo di lavorare degli operai e dei tecnici.
Si mette in moto questo sistema dinamico che, a un certo punto, cessa.
Nel momento in cui giunge a compimento, tutti questi quattro elementi sono investiti. In quel territorio, una volta popolato, animato, pieno di uomini, di cose e di veicoli, improvvisamente c’è il silenzio; rimangono queste cattedrali, queste rovine industriali “sospese”.
Questa comunità operaia si scioglie e, con essa, si sciolgono anche i sistemi di valori che aveva portato avanti. Si pone quindi il problema di quale socialità ricreare al posto di quella vecchia. Cambiano o muoiono le tecnologie, o più probabilmente si trasferiscono. Certamente cambiano o si perdono delle professionalità; poi c’è il problema del management, delle dinastie industriali e del capitale.
Si chiude quindi questo ciclo di vita, che si può definire il “ciclo della grande fabbrica fordista”.
Iniziato negli Anni ’10 e negli Anni ’20, che porta alla costituzione del cosiddetto “operaio massa”. La fabbrica fordista è caratterizzata da sistemi estremi di produzione di massa. Grandi fabbriche, grandi catene, moltitudini di operai tutti insieme. Questo ciclo industriale viene a compimento verso la fine degli Anni ’70 e inizio degli Anni ’80, quando si sviluppano sistemi dinamici di piccole e medie imprese; la produzione immateriale prende il posto spesso della produzione materiale. Si formano nuove figure di lavoratori e di tecnici.
Altro aspetto importante: la storia della grande fabbrica, che è una grandissima storia del ‘900, s’intreccia moltissimo con la storia politica del paese.
La grande fabbrica italiana sotto il fascismo evidentemente rappresentava un sistema sociale molto diverso dalla stessa grande fabbrica durante la repubblica nel dopoguerra. Le rappresentanze sindacali prima non c’erano, poi ci sono state. Il clima sociale nella fabbrica diventa più ricco, più dinamico e più conflittuale.
La storia politica è il quinto elemento da inserire se vogliamo ricostruire la storia della grande fabbrica italiana.
C’è una bellissima frase nella sigla iniziale, nella canzone di De Gregori, che dice: “La storia siamo noi e nessuno resti escluso”. Questo è un altro grosso problema: l’esclusione dalla storia di alcune figure, chiamate “gli invisibili”, “i dimenticati”.
E’ molto importante, quando ricostruiamo la storia della grande fabbrica del ‘900, non dimenticare nessuna di queste figure che la hanno caratterizzata: né gli operai, né i tecnici, né il management, né tutto quello che gli sta attorno, compresi i quartieri operai.
La presenza di queste fabbriche a Sesto San Giovanni (Breda, Falck, Marelli e poi la Pirelli subito lì vicino), ha dato al luogo una sua identità assolutamente ben definita.
Chiamata “Stalingrado d’Italia”perché roccaforte della classe operaia più antagonista, più dura.
Quella che più che sentirsi assediata, come l’appellativo poteva far pensare, tentava di assediare, in altre parole, tentava di proporre una sua forza antagonista, anche cooperativa. Pensiamo ad esempio al fatto che questi operai hanno difeso le fabbriche nel momento in cui c’era il pericolo che fossero smantellate dai tedeschi.
A Sesto San Giovanni quando la fabbrica era attiva e prospera si viveva certamente dentro a un sistema di forte comunità. Vivere bene vuol dire vivere con un alto reddito, in un sistema sociale in cui ciascuno riconosce dei valori di solidarietà e cooperazione.
La città con la chiusura delle grandi fabbriche si è trasformata.
I valori, i ceti sociali e le stratificazioni sociali che hanno popolato Sesto San Giovanni fino agli Anni ’70 sono stati sostituiti da altri.
Oggi la maggioranza degli abitanti di Sesto San Giovanni appartiene al terziario, alla borghesia professionale. Questa grande "middle class” caratterizza le nostre città post industriali.
La grande fabbrica, quella che ha chiuso il suo ciclo, ha la possibilità di rinascere sotto altre spoglie, per essere immortale.
Invece di assumere la dimensione “grande fabbrica” prendiamo la dimensione “socialità”.
Con la chiusura della grande fabbrica, c’è stata la fine dei grandi assembramenti, dove gli uomini, stando assieme, creavano comunità e socialità; questo meccanismo viene a cadere.
Guardiamo alle due figure tipiche ed estreme del lavoro di questo secolo: quello che è chiamato l’operaio della grande fabbrica e il lavoratore autonomo.
Certamente il lavoratore autonomo oggi è un lavoratore individuale, che ha difficoltà ad avere rapporti così stretti con i colleghi, anzi, molto spesso è animato da un sistema di competizione. Non vuol però dire che sono caduti tutti i valori, il lavoro autonomo richiede oggi altissime competenze professionali.
La sfida del futuro è ridisegnare il territorio, solo affrontandola riusciremo a riprogettare i sistemi produttivi e sociali negli spazi abbandonati dalle fabbriche.
Serietà e impegno contraddistinguono la sempre presente Responsabilità sociale del Gruppo. L’inizio è , nel 1905, con la costruzione del Villaggio Falck a Sesto San Giovanni per ospitare ”i lavoratori dell’Azienda non in relazione alle esigenze produttive, ma esclusivamente per le esigenze sociali di miglioramento delle loro condizioni di vita”, come recita testualmente un nostro libricino del ‘56, contenente le descrizioni delle attività e delle provvidenze sociali per i lavoratori e le loro famiglie.
Storicamente abbiamo attinto gran parte della nostra manodopera, in particolare per l’acciaieria, nelle valli della bergamasca, ma anche dalla Toscana e dalla Brianza.
L’intento fu di creare per loro un vero villaggio, con ampi viali e piazzali, con un edificio scolastico, palestra, Chiesa, bagni e docce, lavatoi e spacci di generi alimentari per mille locali abitabili.
In pratica ogni alloggio aveva l'acqua potabile, luce elettrica, gabinetti all’inglese, ogni famiglia un vasto locale sotterraneo e un orto cintato. Un regolamento di disciplina e la richiesta osservanza delle norme d’igiene e buona manutenzione ordinaria delle case da parte degli inquilini rendevano alla zona un’aura d’esclusività elitaria.
Per il benessere dei propri dipendenti anche extra-lavoro derivano le grosse provvidenze che negli anni furono istituite dall’Azienda. Presso tutte le dipendenze sociali, oltre al già citato Villaggio di Sesto, ad Arcore, Dongo, Vobarno, Zogno e Schilpario (entrambi in provincia di Bergamo) si costruirono Chiese, case per i dipendenti (per un totale complessivo di 6.900 vani pari a 2.020 appartamenti), ricoveri per dipendenti anziani e indigenti a Vobarno e a Dongo, a Sesto scuola materna con metodo Montessori, elementare, media: scuole aziendali d’avviamento e addestramento professionale a Sesto, Dongo e Vobarno per giovani tra i sedici e diciotto anni.
Dopo lavoro e circoli ricreativi, teatro, colonie estive e invernali, servizi di assistenza sociale, patronati, biblioteche aziendali (nel ’56 18.600 volumi, di cui 10.000 a Sesto).
Due alberghi per operai e uno per impiegati, per complessivi 400 posti a Sesto San Giovanni, dove vi fu la massima concentrazione di dipendenti con un forte pendolarismo.
Centri sportivi a Sesto, Vobarno, Arcore, Dongo con palestre, campi di calcio, tennis e atletica.
Il centro remiero di Dongo, che diede all'Italia le medaglie d'argento olimpiche di canottaggio con il "quattro senza" a Roma nel 1960 e il “quattro con" a Tokyo nel 1964. Numerose squadre di calcio nei vari stabilimenti formate da dipendenti.
L’organizzazione di viaggi per creare un sano spirito di squadra tra i dipendenti.
Un teatro di prosa a Sesto San Giovanni, dove vi era una vera e propria stagione teatrale.
L’impegno aziendale nel raggiungimento dell’obbiettivo era massimo, lo dimostra l’esistenza a Sesto anche di una scuola di taglio e cucito, come si legge sempre nella pubblicazione già citata, per le figlie dei propri dipendenti che abbiano terminato le scuole elementari e non desiderino o non possano continuare gli studi; ovvero attendono un’occupazione.
L’ozio è il padre dei vizi!
Spinta da un’esigenza sociale fu anche la decisione di produrre le lamette per rasoio a mano Lama Bolzano. Come ho scritto sopra, per la costruzione e la conduzione delle Acciaierie fu portata a Bolzano manodopera proveniente dalle regioni italiane. Si trovarono a vivere in una società che non li accettava e che parlava solo tedesco. Gli uomini avevano il loro lavoro in fabbrica, mentre per le mogli e le figlie si doveva trovare un’occupazione pena l’isolamento sociale. La fabbricazione delle lamette, con la necessità di forte manualità nella fase dell’affilatura, si prestava bene alle abili mani femminili.
Senza tralasciare l’attività assistenziale come l’istituzione, nel 1940 in ogni stabilimento, delle Conferenze aziendali San Vincenzo costituite da dipendenti, che nelle ore libere si dedicavano all’assistenza morale e materiale delle famiglie dei compagni di lavoro più bisognosi. I Gruppi AVIS aziendali, creati nel ’47, che riunivano i dipendenti donatori di sangue, la ditta interveniva riconoscendo una somma di denaro per ogni donazione pari alla perdita del salario causata dall’assenza dal lavoro.
In ogni stabilimento vi era la presenza di una struttura d’assistenza sociale per i lavoratori e le loro famiglie, con la presenza di assistenti sociali diplomate.
Un'attiva e molto numerosa Associazione Anziani.
Le provvidenze sociali andarono dal “Centro Sanitario" di Sesto San Giovanni, alle infermerie e agli ambulatori presso tutti gli stabilimenti sociali. Al “Centro Prevenzione Infortuni", che sempre agì capillarmente in ogni dipendenza sociale per assicurare la rispondenza delle macchine e degli impianti alle prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro e per l'approntamento dei mezzi di protezione personale per i lavoratori e per la loro educazione antinfortunistica. Alle mense istituite all'interno d’ogni centro di lavoro o nelle immediate vicinanze.
Particolari iniziative furono poste in atto per incoraggiare i dipendenti e i loro figli nella prosecuzione degli studi, quali l'Associazione Amici della Scuola Giovanni Devoto, intitolata al marito prematuramente scomparso dell’unica figlia Giulia del fondatore e gli annuali concorsi per l'assegnazione delle Borse di Studio Giovanni Devoto.
Il Fondo Giorgio Enrico Falck, alimentato da un lascito del fondatore, per favorire con una somma di denaro i lavoratori, con più di 38 anni d’anzianità, all’acquisto della propria abitazione.
L’istituzione fin dal 1919 di un fondo previdenza a totale carico della società per impiegati e capi.
L’Azienda si sostituiva allo Stato, allora, non presente nel sociale.
Queste iniziative furono prima ridimensionate ed ebbero poi termine a metà anni ’80, oggi gli indirizzi sociali del Gruppo si sono orientati verso le esigenze della società moderna.
Il Gruppo ogni anno pubblica il Rapporto Ambientale e Sociale, certificato dalla società di revisione, la stessa che certifica i bilanci economico-patrimoniale delle varie società del Gruppo. In esso sono chiaramente indicati i principi della Sostenibilità effettiva, costante e misurabile, cui è uniformata la gestione, e gli obbiettivi da raggiungere.
Nel 1999 ha adottato il Codice di Comportamento, i cui dettami tutti i dipendenti del Gruppo devono seguire nella conduzione degli affari e nei rapporti interpersonali. Il Codice è alla base della selezione dei fornitori.
È stato istituito un Comitato d’attuazione, cui fanno parte i vertici del Gruppo e personalità indipendenti di alto valore etico.
Il Gruppo organizza in tutti i suoi impianti industriali alcune giornate di “Porte Aperte”, nelle quali i cittadini sono invitati a visitare i siti industriali e cui sono illustrati i cicli produttivi.
Si finanziano e organizzano Corsi d’Educazione Ambientale nelle scuole.
Forte è l’impegno rivolto verso la formazione e la riqualificazione del personale destinato a nuove attività all’interno e all’esterno del Gruppo.
A testimonianza del passato siderurgico è allestita a cura e spese della Falck una sala presso il Museo della Scienza e della Tecnica a Milano. In essa sono esposte i vecchi impianti di trafila e di produzione di chiodi, una volta funzionanti a Voberno e del XIX secolo.
Delle numerose iniziative sociali appoggiate dalla famiglia Falck vorrei solo citare la costituzione, all’inizio del 2000, della Fondazione Falck a sostegno di iniziative nell’educazione, istruzione, ricerca scientifica e assistenza sociale.
La ristrutturazione del Padiglione Vergani-Falck a Milano Niguarda, un day hospital e centro di ricerca d’oncologia.
La Donazione al Museo Poldi Pezzoli di Milano da parte dell’ingegner Bruno Falck della maggior parte della sua collezione di orologi antichi, esposta in una sala a lui dedicata.
All’inizio del secolo scorso mancava molto di quanto serve a soddisfare i bisogni primari delle persone. Ora irrompono sulla scena nuove emergenze sociali (tossicodipendenti, anziani, disagio giovanile, disabili fisici e psichici) legate a nuove categorie, sensibilità e al declino della famiglia come ammortizzatore sociale.
A tutti questi nuovi bisogni della società civile in un mondo sempre più caotico, globalizzato e dispersivo, le risposte delle aziende, tradizionalmente rivolte al puro soddisfacimento dei bisogni dei propri dipendenti, non sono più sufficienti. Occorrono strumenti interaziendali qual è Sodalitas, associazione fortemente voluta da Assolombarda su modello anglosassone, 14 aziende fondatrici tra cui la nostra, di cui Federico Falck ne è l’attuale Presidente. Ora sono associate più di 50 aziende, oltre 100 volontari ex managers, esperienza innovativa in Italia, che vede lavorare insieme dirigenti in pensione e aziende con l’intento di migliorare l’efficienza, l’efficacia e la qualità manageriale del noprofit,, promuovere la cultura della Responsabilità Sociale presso le imprese. Permette, inoltre, l’aggiornamento degli ex managers volontari troppo precocemente fuori dal lavoro attivo. Essi riversano al noprofit le loro esperienze manageriali tenendosi costantemente aggiornati in uno scambio virtuoso. In dieci anni di vita ha operato più di 500 interventi di assistenza al mondo noprofit. Il successo dell’iniziativa ha portato alla nascita, in giro per l’Italia, di una serie di altre analoghe associazioni, che si appoggiano alle strutture territoriali di Confindustria, collegate tra loro in una struttura a rete.
Al termine di questo lungo scorrere della nostra storia che ha accompagnato quella della società civile voglio riportare due frasi mi hanno recentemente particolarmente colpito perché rappresentano bene quanto un’azienda deve affrontare nell’era della globalizzazione: la prima è di un imprenditore di azienda familiare, che alla domanda quale secondo lui fosse il segreto della longevità della propria azienda risponde: Radici con le ali.
L’altra una frase pronunciata da Pietro Sella nel 1817 alla commissione che nello stato sabaudo stava valutando se autorizzare l’installazione a Biella del primo telaio tessile meccanico. Ed era perplessa di fronte alla perdita di posti di lavoro derivante da questa innovazione produttiva:
“Se l’innovazione fosse dannosa dovremmo togliere le ruote ai carri”.
Saremo vincenti solo se non avremo paura della modernità senza dimenticare tutte le tradizioni e i valori della nostra azienda.
La famiglia azionista ha sempre fatto la sua parte, nonostante divisioni a volte laceranti, in appoggio anche finanziario alle necessità dell’impresa e crede fortemente nello sviluppo delle energie rinnovabili.
La ritrovata concordia e tutto quanto ho provato a raccontarvi ci spinge a riannodare i fili della nostra storia imprenditoriale per incidere nel futuro.
1 Presidente del gruppo Falck.