Editoriale

di Carlo Simeone


Dall’inizio dell’anno fino al momento in cui scriviamo, nella sola Napoli vi sono stati una cinquantina di omicidi.

Altrettanto impressionanti sono i dati che si ricavano dalla Relazione sullo stato della sicurezza stradale, che fanno registrare nel periodo compreso dal 1973 al 2002, circa 230 mila morti e 7, 3 milioni di feriti causati da incidenti stradali. In base agli aggiornamenti prodotti dall’Istat, si nota che circa la metà dei sinistri negli ultimi anni si verificano nelle notti di venerdi e di sabato. In questi casi, gli esperti della polizia stradale attribuiscono gli incidenti alla guida in stato di alterazione, dovuta all’uso di alcol e di droghe.

Allo stesso modo, ci spaventano anche le cifre che si registrano per le morti sul lavoro e che vedono, purtroppo, l’Italia primeggiare a capo di una triste classifica. Se ne parla tanto in questo periodo, eppure, gli incidenti sul lavoro e lo stesso lavoro nero, sono strettamente apparentati oramai da tempo.

Le conseguenze di questo disgraziato connubio si rivelano anche sul fronte dei mancati introiti fiscali che autorevoli fonti del governo valutano intorno al 27% del PIL, con una cifra che supera abbondantemente i 200 miliardi di euro.

Non entriamo in questa sede sul merito delle misure legislative che invocano simili emergenze, perché non è il nostro compito. Saranno altri a giudicare e a decidere quali potranno essere i provvedimenti più opportuni da considerare e da adottare. Vorremmo segnalare, tuttavia, che più di qualcuno ha fatto rimarcare come le leggi per mettere freno a questi fenomeni, ci sono. Si tratta solo di applicarle e di farle rispettare. Il mancato ossequio alle leggi e alle regole che guidano la convivenza sociale, è un tema sul quale preferiamo tornare in seguito.

Vorremmo chiederci, ora, come persone di una comunità civile, quale sia il significato della vita nella nostra società, quando esso appare sminuito e contraddetto dalle questioni appena descritte.

Qual è l’importanza che oggi attribuiamo alla vita e all’esistenza ? E’ ancora vero che ogni persona debba realmente costituire un bene prezioso per l’intera comunità ?

Cosa spinge tanti giovani a bruciare nell’attimo di pochi istanti se stessi, come se la prospettiva del domani non sia più importante di una bravata compiuta insieme ad altri coetanei ?

Non ci troviamo solo di fronte al rifiuto di intendere la vita come frutto dell’esperienza e della maturazione delle conoscenze, che attraverso gli accadimenti spiegano il nostro stare al mondo. C’è un qualcosa di più profondo e di nascosto che assorbe misteriosamente le migliori energie di tanta gente, distraendole dalla propria natura e che le tiene distanti da un concetto in cui la vita costituisce un qualcosa di sano e di irripetibile, di cui l’intera società non può fare a meno.

Mettere in discussione la vita, vuol dire rendere opinabile, comunque, la vita di ogni uomo, in ogni momento, e sappiamo che ciò non è concesso a nessuno, perché, la vita è un valore che appartiene alla natura stessa dell’uomo e all’intero mondo.

Non è normale, non è assolutamente ammissibile rinnegare il bene più prezioso che il mondo possiede, per un qualcosa di intangibile che riporta l’uomo indietro nel tempo obbligandolo ad essere prigioniero dei propri sensi, senza possedere alcuna capacità di discernimento riguardo al proprio futuro.

Sembrerà strano, ma chiedersi quale sia la concezione del senso della vita, da quando la si desidera fino al momento in cui non c’è più, è un tema che preoccupa per la stessa domanda in se.

Eppure, siamo costretti a subire l’onta della sorpresa, ogniqualvolta che ci troviamo di fronte a convinzioni che ritenevano solide e granitiche e che vengono messe in discussione in un qualsiasi dibattito o articolo di giornale.

L’insieme di queste perplessità ci fanno comprendere che la questione non può essere ricondotta solo in riferimento a quello che bisogna fare dopo determinati episodi. Cioè, quando i fenomeni ci irretiscono e si ritiene, allora, che si risolvono solo assumendo delle contromisure legislative.

C’è bisogno di altro e prima ancora che certi eventi si manifestino.

E’ necessario prendere piena coscienza di una realtà che cresce a dismisura e che si manifesta in tanti modi, da quelli meno apparenti e subdoli, fino agli episodi che ci stupiscono.

Un giovane appena maggiorenne oltre a godere dei propri anni, dovrebbe preoccuparsi di progettare la propria esistenza, senza perdere di vista il miglioramento della propria condizione. Se questo non avviene è perché la parte formativa, quella che più propriamente appartiene alla sua sfera educativa, viene condizionata da altre direttrici che rischiano di soppiantare il ruolo della famiglia e della scuola.

La famiglia diviene il posto in cui per mancanza di tempo, i genitori e i figli si ritrovano di meno. Gli orari di lavoro, quando marito e moglie hanno bisogno di portare a casa due stipendi, e la carenza di servizi sociali adeguati, spostano al di fuori della famiglia il baricentro delle interazioni a cui sono soggetti i suoi componenti più indifesi.

Della scuola potremmo dire la stessa cosa. Con riforme che si inseguono una dopo l’altra a distanza di pochi anni e scioperi e programmi discussi e discutibili, fanno di tutto per mortificarne l’ autorità e la capacità formativa.

La pubblicità, internet e i mass media, più in generale, svolgono oggi un ruolo assai più determinante.

Basta sfogliare una qualsiasi rivista per comprendere quale sia lo stato reale delle cose. Buona parte dello spazio dei principali periodici viene occupato oggi da un certo tipo di pubblicità, che propugna i consumi ai quali rivolgere grande considerazione. Facendo attenzione, si nota che si propugnano consumi specifici, attraverso tecniche precise e sofisticate, e non l’acquisto di un oggetto qualsiasi. La persuasione e la cattura del consenso, divengono la filosofia sulla quale una lunga serie di tanti prodotti ha fondato la propria fortuna.

Certe pubblicità, addirittura, si propongono in tutto il loro carattere formativo, affermando concetti che sconfinano nel modo di essere e in quello di comportarsi. Per non parlare, poi, di alcuni esempi che di recente sono stati criticati ampiamente, perché incitavano alla violenza e allo stupro, attraverso le pose assunte dalle figure degli individui che vi comparivano.

Il messaggio che si fa passare in questi casi, offre un nuovo modello di identità. Se un tempo ci hanno insegnato che si è perché si dubita o si pensa, oggi saremmo indotti a ritenere che solo se si consumano quei determinati prodotti esistiamo. In questo modo ci si sente più protetti, perché si fa parte di una comunità di eguali e non si avverte il disagio dell’esclusione.

Non è raro imbattersi in gruppi di giovani che si riconoscono per il solo modo di indossare alcuni capi caratteristici, grazie ai quali avvertono un senso di appartenenza che non richiede loro alcuna identità nel modo di pensare.

Lo stessa funzione svolge la televisione, grazie alla maggiore capacità oggettiva che il mezzo possiede. Vi sono delle trasmissioni televisive che assumono la stessa funzione formativa.

Cosa propone in questi casi la televisione ?

Una risposta ben azzeccata ad un quiz, la parola giusta in risposta alla domanda del presentatore di turno, offre la possibilità di guadagnare tanti soldi. Nel giro di pochi istanti la vita può cambiare grazie alla fortuna, indipendentemente da ogni forma di sacrificio o di applicazione che vi si dedica. A sentire i commenti che si fanno in alcune trasmissioni, sembrerebbe inutile applicarsi e sacrificarsi. E’ del tutto inutile alzarsi la mattina presto per recarsi a lavorare o per andare a scuola o all’università. Si rischierebbe di essere derisi.

Questo è l’esempio che si riceve guardando alcune trasmissioni, dove il senso della vita è assente e compare una rappresentazione dell’esistenza assimilabile al mondo vegetale. In alcuni casi si ricorre all’infingimento, facendo passare per un qualcosa di realistico il tempo che alcuni giovani trascorrono insieme dietro ad una telecamera. I personaggi di queste trasmissioni non sono mai intenti a lavorare, a studiare, ad avere degli impegni di famiglia o di altro genere. Praticamente, propongono il nulla che attraverso la televisione di massa nella quale vengono eletti come personaggi famosi, sono imposti ad esempio.

Se qualcuno provasse a chiedere in giro il perché di tanta fama, si risponderebbe che quei personaggi sono apparsi in TV, hanno partecipato ad una trasmissione ed hanno vinto una speciale classifica. Non importa se abbiano un mestiere o sappiano fare qualcosa. Non è necessario, perché l’importante è apparire.

Questi sono i valori che vengono propinati e imposti alla gente.

E, comunque, nessuno reagisce.

In altri programmi, invece, si raggiungono situazioni talmente paradossali, che occorre davvero pensare criticamente a quali sono i gradi di controllo a cui sono sottoposti certi prodotti radiotelevisi, prima che varchino la soglia dei teleschermi.

In questi casi si ha la netta sensazione che il cinismo e il bieco interesse per la sensazionalità e la dissacrazione, abbiano preso il posto dei contenuti e del buon senso. Alcune notizie date attraverso i giornali della radio e della TV, lasciano interdetti a causa della gratuita descrizione anatomica di taluni particolari su cui si attarda il cronista di turno quando descrive taluni fatti di cronaca.

In questo modo per i nostri giovani la violenza e la morte diventano un fatto quotidiano, in cui i confini tra il virtuale e la realtà divengono estremamente labili e opinabili.

Si ha la sensazione che i media colpiscono, disgregano e annientano le persone, esponendole all’attenzione del pubblico senza alcun connotato di umanità. Non aiutano, non costruiscono, non dicono come si fa, ma sono intenti a rappresentare solo l’immagine esacerbata di un mondo senza anima e umanità.

Così facendo credono di divertire e di intrattenere, come anticamente accadeva nella fossa del Colosseo.

Non abbiamo parlato di internet solo per questioni di spazio, ma si può dire che aprendo una qualsiasi pagina del web si viene inondati di pubblicità. E va bene se passano solo cose normali, perché vi si trova anche di più.

Le ideologie del secolo scorso sono finite perchè la storia si è incaricata di dimostrare la loro disumanità. Adesso, invece, nessuno promette un mondo migliore, ma sotto le spoglie di un certo modo di intendere i media e internet, la vita viene concepita come un qualcosa di precario, da trattare a seconda delle condizioni del momento.

Come i mass media debordano quotidianamente di modelli che ci vengono proposti senza osservazioni critiche, così la nostra percezione della vita e del tempo si è abbreviata, tanto da non essere più capaci di apprezzare un nuovo traguardo raggiunto.

E’ subentrato un sentimento di minore fiducia nel futuro, una mancanza di ottimismo che ci impedisce di coltivare la speranza in noi stessi, nelle nostre forze e, perché no, negli altri.

Capita spesso che il cittadino che protesta e che si indigna dinanzi ad un sopruso o per una regola non rispettata, viene guardato come un piagnone ed un rompiscatole. Anzi, di fronte alla prepotenze di ogni giorno, da quelle più lievi a quelle più grandi, come la fila all’ufficio postale o ai disservizi della pubblica amministrazione, fioriscono mille giustificazioni. Colui che protesta e pretende il rispetto dei propri diritti, nella migliore delle ipotesi viene schernito come un moralista.

L’uomo che si affida al rispetto dei diritti e dei doveri, è ossequioso delle regole sulle quali si regge la reciproca convivenza e si batte, in fin dei conti, per una società più umana incardinata sulla certezza di comportamenti condivisi.

Il rispetto delle regole si associa, naturalmente, al rispetto della legge. Oggi, purtroppo, dobbiamo constatare che la meraviglia, l’indignazione che spinge fino alla protesta, lascia il più delle volte il passo alla rassegnazione ed, ancora peggio, all’indifferenza, come se in questo modo si segnasse una sconfitta per le leggi e si negasse, d’altro canto, la capacità dello Stato nel farle rispettare.

Dalle nuove forme di imbarbarimento che sconvolgono la convivenza civile, subentra l’assuefazione ed una sorta di capacità di adattamento alle soverchierie. Siamo di fronte a situazioni in cui si rivela il termometro della coscienza civile della nostra società e dove attecchisce una diversa percezione del concetto di normalità.

Oramai, la tracotanza e la disumanità di determinati episodi, susseguendosi con regolare frequenza, rientrano in una percezione di normalità di cui è costellata la vita di tutti i giorni: se un giovane consuma uno spinello viene tollerato e non richiamato, se si insudiciano le nostre strade nessuno interviene, e così via.

Se muta la nostra scala dei valori, cambia anche il nostro modo di intendere la nostra esistenza e le conseguenze si riversano anche sulle nostre interazioni sociali.

In effetti, è cambiata profondamente la percezione che riconosciamo alle cose che ci circondano, alle quali affidiamo maggiore importanza perché non riusciamo più a farne a meno. Non solo è più importante possedere, ma allo stesso consumo riconosciamo un valore formativo come se esso potesse supplire allo studio, alla preparazione appresa sui banchi di scuola.

Un ruolo fondamentale, se si vuole essere concreti e sinceri – con se stessi e con gli altri – , può essere svolto dalla classe dirigente. Non da quelle èlite di cui si sente parlare spesso ai convegni e per televisione. Noi preferiamo parlare, invece, di classe dirigente.

La classe dirigente per sua natura deve essere responsabile avendo piena cognizione del proprio ruolo e della funzione che esplica. Oggi deve dimostrarlo ponendo il dovere e la responsabilità come fattori centrali della nostra società, perchè costituiscono i presupposti essenziali sui quali misurare la nostra capacità di agire. Su questo piano la ricerca delle competenze esigerà che venga attribuito a ognuno un ruolo capace di riflettere le proprie capacità.

E’ plausibile rivendicare i propri diritti solo quando viene soddisfatto il dovere al quale siamo chiamati. Non a caso Emanuel Kant scriveva che la felicità va meritata.

Un Paese che vuole andare avanti mostrando capacità e affidabilità, si salda su valori certi e costruttivi e non sulla dispersione di diritti qualsiasi che rinchiudono le persone all’interno della propria individualità. In Italia è ancora lunga la strada per dare più lavoro ai giovani, per aver una sanità più adeguata, per ottenere un sistema dell’istruzione all’altezza dei tempi, per migliorare i servizi pubblici, e, ancora, c’è da fare tanto sul versante dell’amministrazione pubblica, sulle infrastrutture, ecc.

Di conseguenza, non bisogna dimenticare che una vita responsabile si estrinseca in tutte le manifestazioni più tipiche dell’esistenza, non solo quando si tratta di lavoro, ma anche nell’impegno sociale, negli affetti, in famiglia ed in altre attività.

La responsabilità, di conseguenza, quando viene esercitata in tutte le forme di cui ogni uomo è capace, cambia le cose migliorandole e rappresenta un formidabile esempio per gli altri, soprattutto per i giovani. C’è bisogno oggi di riproporre quei valori costruttivi che alcuni decenni fa consentirono al nostro Paese di riprendersi dalla catastrofe della guerra, ritornando ad essere protagonisti nel mondo attraverso la voglia di fare dei nostri cittadini .

Pretendere di più da se stessi per fare altrettanto nei riguardi degli altri, facendo attenzione a non cadere nella retorica.

Se l’ambito della soluzione di tante questioni appartiene ad una sfera più generale e collettiva, nemmeno si può pensare che le responsabilità di ogni singola persona non abbiano il loro peso nel determinare il corso delle cose. In questo senso, la responsabilità ed il richiamo al dovere costituiscono il metro sul quale misurare i comportamenti di ciascuno di noi, attraverso un’etica che guarda con positività in avanti.


Con questo secondo numero la nostra rivista continua la ricerca di una traccia che possa far risaltare nelle diverse manifestazioni in cui si estrinseca la vita della nostra società, quel senso dell’agire a cui facciamo spesso richiamo.

Siamo molto onorati in questo senso, di poter pubblicare uno scritto del Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, Corrado Calabrò, che ha messo in luce come il processo di comunicazione e le questioni strutturali e contenutistiche da esso proposte, mette in luce il principio etico fondamentale secondo cui la persona umana rappresenta il destinatario e la misura dell'uso dei mezzi di comunicazione sociale, che dovrebbe essere finalizzata al suo sviluppo integrale.

Il Presidente Calabrò soffermandosi, tra l’altro, sui compiti di garanzia più delicati affidati all’Autorità che presiede, si preoccupa della tutela dei minori e delle minoranze, dei consumatori e del corretto svolgimento della vita politica ed istituzionale tramite l’applicazione della normativa sulla par condicio e sul conflitto d’interessi (ove questo riguardi l’ipotesi del sostegno privilegiato fornito al titolare di cariche di governo da parte di un’impresa del settore a lui riconducibile).

Nell’espletamento di queste funzioni – scrive il Presidente Calabrò – il nostro punto di riferimento è stata e continuerà ad essere, la persona nei suoi differenti stadi di sviluppo e condizioni socio-economiche “.


Seguendo questo filo conduttore, il Presidente di Sezione della Corte dei Conti, Mario D’Antino, svolge un pregevole saggio, su come si debba intendere il concetto della responsabilità, allorquando viene applicato concretamente all’impresa e alla finanza, fino ad arrivare alla pubblica amministrazione.

Nell’articolo si asserisce che sotto il profilo dell’etica dell’agire, il limite di demarcazione tra sfera politica e sfera amministrativa non può definirsi a priori. A suo avviso dipende dal contesto istituzionale, dal settore della politica pubblica e dalle modalità con le quali il processo politico a monte è giunto a definire le premesse, e cioè i programmi, gli obiettivi e le delibere. Insomma, il processo amministrativo dipende da ciò che con termine anglosassone si identifica con l’input (letteralmente: immissione) e cioè le idee, i soggetti i valori, le motivazioni che provengono dal governo.

Una della conclusioni a cui giunge il Presidente D’Antino, fa rilevare che l’eticità non si può restringere ad una generica correttezza dell’operatore. E’ necessario rifarsi alle esigenze della morale che sono espresse normalmente dal principio del bene comune.


Per alcuni versi, lo stesso messaggio lo si rileva nell’articolo dell’ing. Federico Falck, presidente dell’omonimo gruppo industriale, che nel suo scritto, appassionato e a tratti commovente, descrive la vicenda di oltre cento anni di storia dell’azienda di cui è a capo. Leggendone il testo si ricava un’idea precisa dello stretto legame che intercorre tra la Falck e la storia italiana e si percepisce il senso di responsabilità che l’azienda ha avvertito nei riguardi delle proprie maestranze e dell’ambiente circostante, soprattutto nei momenti più critici della propria attività. Siamo molto grati all’ing. Federico Falck per quello che ha scritto, perché ci ha mostrato chiaramente come la vita di un’impresa sia fatta di scelte industriali, da dirigenti e da tutto il personale. Soprattutto, quando descrive la realtà di Sesto S. Giovanni chiamata la “Stalingrado d’Italia”, allora identificata come la roccaforte della classe operaia più antagonista e più dura; quella che più che sentirsi assediata, come l’appellativo poteva far pensare, tentava di proporre una sua forza antagonista, anche cooperativa. “ Pensiamo ad esempio al fatto che questi operai – scrive il pres. Falck – hanno difeso le fabbriche nel momento in cui c’era il pericolo che fossero smantellate dai tedeschi ”. L’articolo merita di essere letto anche perchè fa comprendere come la fabbrica faceva parte di un sistema di forte comunità, in cui i valori sociali, economici ed umani erano tenuti insieme da un vero senso di solidarietà che oggi, purtroppo, corre il rischio di disperdersi con l’avvento della finanze e dell’informatica.


Il tema dell’impresa nell’articolo successivo, trattato da una visuale diversa e molto particolare, qual’ è quella filosofica suggerita dal prof. Guido Traversa, presenta un approccio di grande interesse. Nell’articolo si fa presente che molte questioni etiche che si accompagnano alla ricerca scientifica e alle sue applicazioni, appaiono non di rado come qualcosa di esterno alla scienza stessa. Il saggio sostiene la necessità di non riconoscere una patente di gratuita legittimità alla autoreferenzialità della scienza, soprattutto, quando i conflitti e i rischi divengono oggetto di scelte non solo scientifiche (quindi interne alla scienza), ma che fanno sentire una forma di responsabilità “allargata” nei confronti di tutta la realtà, non solo di quella scientifica.

Il Prof. Traversa propone un metodo nuovo e originale, che parte dalla sperimentazione epistemologica ed etica del rapporto che intercorre tra scienza ed etica in generale, e in particolare tra etica ed economia nell’ambito del lavoro nell’impresa. L’etica, secondo il Prof. traversa, entra nel merito di cui si occupano le scienze e ne può determinare il corso e l’applicazione



Il prof. Marco Castellet e la dott.essa Alessandra Nicchiarelli propongono alcune riflessioni sul marketing, inteso come ponte di collegamento tra l’azienda ed il benessere del consumatore. In questo senso gli autori scrivono che promuovere principi universali e statuire valori di interesse comune, come elementi portanti di un’organizzazione, sono un puro esercizio retorico se non vengono supportati da decisioni, iniziative, comportamenti e azioni concreti e sistematici in questa direzione.

Pertanto, il Prof. Castellet ritiene che l’azienda assumendosi una responsabilità sociale, dovrebbe prevedere come condizioni preliminari (non come scopo!) il rispetto di leggi pubbliche e civili e l’astenersi da comportamenti negativi, e dovrebbe concretizzarsi nella iniziativa a farsi promotore presso la comunità allargata – non solo gli azionisti e i clienti, ma anche i fornitori e i distributori, i partner e i concorrenti, i propri dipendenti e il territorio presso cui opera – di progetti ad orientamento sociale che vadano oltre la norma.

A questo riguardo la spinta etica a cui fa richiamo il prof. Castellet, impone un chiarimento di fondo all’interno delle imprese e delle istituzioni, per evitare che attraverso il marketing si offrono al consumatore messaggi fuorvianti e non veritieri circa le caratteristiche dei prodotti che si intendono vendere.



Questo secondo numero di Italiaetica che si presenta davvero molto nutrito, segue con un articolo molto interessante della Prof.essa Anna Bono che tratta con singolare competenza un tema di cui si dibatte poco, nonostante le grandi battaglie che si fanno in occidente per i diritti delle persone. Nel testo si può comprendere come la tradizione millenaria del cristianesimo chiede agli uomini di amare il prossimo e di allargare il senso di responsabilità oltre la propria comunità. Questo valore, benché imperfettamente realizzato, sostiene l’autrice, ha fatto della civiltà occidentale la prima società in cui è imperativo morale compatire e soccorrere chiunque si trovi in difficoltà, affine o estraneo che sia.

Si comprende allora che dove non si è compiuta la rivoluzione antropologica occidentale, come in Africa, sostiene la prof.essa Bono, l’individuo conta soltanto in quanto componente di una comunità in cui vi sono discriminazioni, violenze, limitazioni alla libertà che, addirittura, vengono istituzionalizzate. Esse sono causa e non effetto di povertà. Chi ne paga le maggiori conseguenze sono le donne e i bambini.

Il fatto che cristianesimo e capitalismo siano i due fenomeni che più hanno contribuito a migliorare la condizione umana, perciò anche quella della donna, conclude la prof.essa Bono, concorrendo a creare società più libere e paritarie, sono realtà che tre influenti ideologie del momento – femminismo antagonista, terzomondismo, ambientalismo catastrofista convergenti nel movimento antioccidentale detto ‘noglobal’ – hanno reso sempre più difficile riconoscere e ammettere.



Gli articoli che seguono aprono una finestra su alcuni principali temi di grande attualità. L’evoluzione demografica a cui va incontro il nostro Paese, si presenta come un enigma secondo la nostra collaboratrice, la d.essa Ida Simeone. Sono chiare tutte le direttrici in cui si svilupperà la nostra società per i prossimi cinquant’anni: i giovani si ridurranno sempre di più, mentre crescerà il peso degli anziani, a fronte di un’economia che non ha ancora il passo giusto e il divario tra nord e sud non sembra allentarsi. L’attuazione di politiche mirate verso i bisogni che esprime lo scenario descritto dall’articolista, potrà favorire lo svolgimento di una vita in cui ci sia posto per progettare il proprio domani.

Il prof. Tonino Cantelmi, affronta il tema di internet descrivendo la rete in tutte le sue sfaccettature. Da psichiatra, studioso attento e profondo dei problemi dell’uomo del nostro tempo quale egli è, ritiene che internet possa segnare un cambiamento evolutivo della società. Il prof. Cantelmi non per questo esorcizza la rete demonizzandola. Al contrario, suggerisce di interagire con essa al fine di restituirla al servizio dell’uomo per renderla utile e coerente allo sviluppo della persona.

Questo numero si chiude con un lavoro molto interessante della d.essa Sara Mariorenzi che si sofferma sull’adolescenza come la fase più critica della formazione di una persona, in cui la scoperta della sessualità interagisce con l’ambiente circostante costituito, prevalentemente, dalla famiglia e dai mass media. L’articolo offre una disamina precisa di taluni casi in cui risalta l’importanza principale del ruolo educativo della famiglia, soprattutto se si considera l’influenza della televisione e delle pubblicità, e dei mass media più in generale, che sembrano proporre un’esistenza senza vita.



Speriamo che questo secondo numero incontri l’interesse e la curiosità di chi mostra attenzione alle tematiche che trattiamo, con un approccio dedicato alla persona e alla sua dignità.

Ancora una volta ringraziamo i lettori per la pazienza che hanno di leggerci e li invitiamo, pertanto, a praticare la legge del contrappasso scrivendo un articolo per la nostra rivista Italiaetica.

16