LE CELLULE STAMINALI NEL NUOVO SCENARIO DELLA MEDICINA DEL FUTURO

di Salvatore Mancuso1, Alessandro Perillo1, Aurelia Roma2, Giovanni Scambia3

1 Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

2 Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Bari

3 Dipartimento di Oncologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso


Premessa

Negli ultimi anni la scienza medica ha rinnovato la sfida contro patologie umane di varia eziologia e patogenesi che sono alla base di insufficienze di organi e apparati. Molte di queste patologie vengono affrontate con tecniche chirurgiche in continua evoluzione, ma ancora gravate da limitazioni legate all'impossibilità di reperire organi per il trapianto della maggior parte dei pazienti, oppure dovute ad insufficienti conoscenze sui meccanismi alla base dell'istocompatibilita' e della tolleranza immunitaria. Il rinnovo di questa sfida e' animato dall'insufficienza delle terapie trapiantologiche e dai progressi sorprendenti delle conoscenze nel campo della biologia cellulare. In particolare, le proprietà biologiche di cellule primordiali (cellule staminali) presenti nelle prime fasi della vita embrionale ed, in parte, presenti nei tessuti e nel sangue periferico di individui adulti, lasciano intravedere un futuro diverso nelle terapie di rimpiazzo tissutale e dell'insufficienza d'organo. Scopo del presente elaborato è di esporre sinteticamente alcuni aspetti legati allo studio biologico e all’uso clinico attuale e potenziale delle cellule staminali, con particolare riguardo a quelli che riguardano il ginecologo-ostetrico.


Definizioni di base e cenni di biologia sulle cellule staminali

Tali cellule staminali, dotate di lunga sopravvivenza e di autorinnovamento, possono essere sorgente di elementi funzionalmente più maturi e differenziati di un certo tessuto. Il concetto di staminalità definisce infatti cellule con capacità di autorinnovamento, di lunga sopravvivenza, e con ampio repertorio differenziativo verso elementi funzionalmente attivi. Le cellule staminali emopoietiche rappresentano un modello biologico ben noto e presentano una peculiare organizzazione gerarchica: e’ infatti ben descritta una progressiva maturazione di elementi cellulari toti-potenti in elementi pluri- e multi-potenti che, a loro volta, generano elementi uni-potenti e specializzati che mostrano una progressiva riduzione della capacità di autorinnovamento e differenziazione nelle diverse linee maturative. Atteggiamenti etico-religiosi e culturali diversi hanno determinato due ampie e parallele linee di ricerca nell'ambito della sperimentazione pre-clinica, le quali hanno come oggetto di studio rispettivamente le cellule staminali embrionali e le cellule staminali somatiche (adulte, fetali o del cordone ombelicale). Il potenziale differenziativo di queste cellule è enorme. Infatti, le staminali embrionali sono in grado di formare tutti gli organi e i tessuti dell’organismo e per questo sono dette cellule toti/pluri-potenti o generative. Le staminali adulte, invece, presenti in tutti i nostri tessuti, sono dette multi-potenti o riparative perché hanno già avviato il processo differenziativo, ossia la capacità di specializzarsi in un determinato tessuto. Per questo si trasformano continuamente in cellule funzionalmente attive, appartenenti all’organo specifico nel quale risiedono. Servono infatti a rinnovare e riparare le cellule del sangue, del cuore, del cervello, del muscolo, ecc. che hanno esaurito il loro ciclo vitale. E’ grazie a loro che gli organi e gli apparati si mantengono negli anni.


Nuove acqusizioni biologiche e prospettive terapeutiche potenziali con cellule staminali

Recenti studi suggeriscono l’esistenza di una certa “intercambiabilità” tra cellule staminali presenti in tessuti diversi e tale facoltà permette a cellule staminali apparentemente orientate verso la differenziazione in cellule specializzate di un determinato tessuto di intraprendere processi differenziativi (“trans-differenziamento”) che generano elementi costituenti organi o sistemi diversi da quello di origine. Tale concetto di plasticità delle cellule staminali adulte si basa su una serie di dati biologici sperimentali sia in-vitro che in-vivo (modelli animali). Ad esempio cellule staminali del midollo osseo (emopoietiche e mesenchimali) possono produrre, in opportune condizioni, cellule neuronali, epatiche, endoteliali e muscolari. Tali evidenze suggeriscono nuovi impieghi clinici delle cellule staminali, nell’ambito delle cosiddette terapie cellulari, quali la generazione di tessuti ex-vivo e la possibilità di effettuare una terapia di rimpiazzo cellulare e di riparazione dopo un danno tissutale. In quest’ambito, l’uso di cellule staminali di origine embrionale, pur dotate di un elevato potenziale differenziativo e di espansione in-vitro, appare gravato, oltre che da enormi problemi di ordine etico-morale, anche da alcuni svantaggi a livello puramente scientifico. Tra questi si segnalano le possibili reazioni immunologiche con cellule embrionali eterologhe, il rischio di formazione di teratomi, l’alta incidenza di aneuploidie, la possibilità di contaminazione del trapianto con cellule embrionali indifferenziate, e, più in generale, la scarsa “educabilità” differenziativa delle cellule staminali embrionali.


Cellule staminali in ginecologia e ostetricia

Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad un crescente interesse scientifico e ad un grande impegno di ricerca nel campo della terapia cellulare basata sulle cellule staminali. Si posssono dunque delineare differenti aree di studio nelle quali la ricerca sulle cellule staminali può essere applicata e sviluppata in ginecologia e ostetricia:

  1. Le cellule staminali emopoietiche sono state utilizzate fin dalla fine degli anni ’80 per impostare strategie terapeutiche nel trattamento di tumori solidi (es: carcinoma ovarico). Sono stati investigati a livello clinico diversi approcci terapeutici mediante trapianto autologo o allogenico, e sono state proposte altre strategie che si inseriscono nel più ampio contesto dell’immunoterapia antineoplastica (es: protocolli di vaccinazione, uso di citochine e/o cellule dendritiche, ecc.).

  2. In ambito oncologico, è stata ultimamente investigata l’esistenza di una cellula staminale “tumorale”. Tale cellula, dotata di lunga sopravvivenza, darebbe origine alla proliferazione tumorale iniziale e alla progressione verso la malignità attraverso l’accumulo di successive mutazioni. L’isolamento di tali cellule staminali tumorali è stato comunque realizzato solo molto di recente, utilizzando tecniche di laboratorio mutuate dai settori di ricerca sulle cellule staminali tissutali. Sono state infatti identificate popolazioni cellulari di carcinoma mammario dotate di autorinnovamento, le quali sono capaci di dare origine a tumori primari e secondari eterogenei dopo trapianto in topi NOD/SCID. Un singolo clone cellulare tumorigenico con caratteristiche di staminalità è stato anche isolato dal liquido ascitico di un paziente con carcinoma ovarico avanzato. L’identificazione di cellule staminali tumorali potrebbe avere anche implicazioni in ambito di terapia antineoplastica. Si può infatti ipotizzare una diversa sensibilità al trattamento chemioterapico tra popolazioni di cellule staminali tumorigeniche e cellule tumorali non-tumorigeniche, come già descritto in alcuni modelli di cellule staminali leucemiche. La valutazione della chemiosensibilità delle cellule staminali tumorali potrebbe quindi indirizzare il trattamento della neoplasia verso l’utilizzo di farmaci più mirati contro quelle popolazioni cellulari che realmente sostengono la crescita tumorale.

  3. Il sangue di cordone ombelicale, che era in passato considerato materiale “di scarto”, rappresenta attualmente una fonte preziosa di cellule staminali che possono essere utilizzate per il trattamento di neoplasie e di malattie congenite. Recenti evidenze suggeriscono nuovi impieghi clinici delle cellule staminali emopoietiche quali la generazione ex-vivo di tessuti non-emopoietici (“plasticità”) e la possibilità di effettuare terapie di rimpiazzo cellulare (“terapie cellulari”).

  4. Le cellule staminali possono essere utilizzate per trattare diverse malattie congenite severe del feto attraverso trapianti prenatali. Tuttavia, è necessario risolvere ancora vari problemi per ottenere un efficiente attecchimento dopo trapianto di cellule staminali in utero. Recenti studi in modelli animali hanno dimostrato l’importanza dell’età gestazionale alla quale si effettua la procedura di trapianto in utero, evidenziando il vantaggio di un inoculo di cellule staminali in epoche precoci. Un approccio eco-guidato attraverso la cavità celomatica potrebbe consentire tale possibilità. In questo settore di ricerca, la nostra Istituzione ha infatti sviluppato un modello di xenotrapianto prenatale di cellule staminali umane ottenute da cordone ombelicale, mediante inoculo intracelomatico eco-guidato in feti di pecora ad età gestazionale precoce.

  5. Nell’ambito della medicina della riproduzione, sebbene già agli inizi del Novecento alcuni autori avessero ipotizzato un ciclico rinnovamento del pool di gameti femminili durante la vita riproduttiva, nella comunità scientifica è successivamente prevalso il concetto della persistenza dal periodo fetale di tutti gli ovociti presenti nell’ovaio durante la vita adulta. Tale dogma della biologia riproduttiva è stato, tuttavia, minato da recentissime evidenze che hanno riacceso il dibattito su tale annosa questione. In particolare, è stato recentemente osservato il rinnovamento follicolare nell’ovaio umano in età fertile. Bukovsky e coll., infatti, hanno descritto in donne giovani la presenza di un pool dinamico di follicoli primari in cui i follicoli più vecchi andati incontro ad atresia vengono rimpiazzati da altri di nuova formazione. Tale turnover follicolare potrebbe, secondo tali autori, contribuire alla selezione dei gameti di migliore qualità, prevenendo tra l’altro in essi l’accumulo di alterazioni genetiche spontanee o indotte dall’ambiente.

  6. E’ stato recentemente descritto un traffico cellulare materno-fetale attraverso la barriera placentare durante la gravidanza. Tale scambio trans-placentare include cellule staminali di origine fetale che possono generare microchimerismi nella madre e contribuire a processi di riparazione tissutale in diversi organi materni. L’analisi di cellule e di acidi nucleici fetali nel circolo materno è un campo di studio attualmente in espansione nell’ambito della diagnostica prenatale non invasiva. Numerosi gruppi di ricerca hanno dimostrato l’utilità diagnostica di questi parametri nella predittività della patologia preeclamptica o di altri disordini della gravidanza.


Il traffico cellulare materno-fetale

E’ ben noto che l’unità feto-placentare e l’organismo materno comunicano soprattutto attraverso la produzione di composti biochimici e ormonali. Infatti, si può affermare che tutti i bisogni metabolici e vitali del feto sono trasmessi alla madre attraverso una sorta di “dialogo” fatto di sostanze ormonali e composti biochimici (es. citochine) prodotti dal feto con la mediazione interna della placenta. Attualmente sappiamo che questo traffico feto-materno attraverso la barriera placentare include anche cellule di origine fetale che circolano nel sangue materno, colonizzano vari tessuti (es. midollo osseo), e lì rimangono e si moltiplicano per tutto il resto della vita della donna. Il microchimerismo si riferisce appunto alla presenza in un determinato individuo di una piccola popolazione de cellule o di DNA che deriva da un altro individuo geneticamente distinto. Il feto invia dunque alla madre piccole quantità di diversi tipi cellulari tra cui cellule del trofoblasto, cellule linfoidi, cellule eritroidi e cellule staminali, che possono esercitare un ruolo importante per l’induzione e il successivo mantenimento della tolleranza immunitaria nell’organismo materno durante la gravidanza. La presenza e la persistenza di cellule fetali in tessuti materni di topo è stata riportata per la prima volta oltre 20 anni fa, anche se è solo molto più recentemente che il verificarsi di tale fenomeno e le potenziali conseguenze del traffico feto-materno sono stati pienamente apprezzate e investigate nell’uomo. Il microchimerismo cellulare fetale è infatti un nuovo campo di ricerca in piena crescita, sebbene i dati siano ancora controversi per quel che riguarda le conseguenze sulla salute della persistenza di cellule fetali nei tessuti materni. Le cellule fetali rappresentano una popolazione di cellule staminali “multipotenti” cioè in grado di generare e riparare diversi tessuti dell’organismo umano. Esse inoltre sono più “primordiali” rispetto a quelle dell’adulto e quindi funzionalmente più immature e dotate di un potenziale proliferativo e differenziativo maggiore. E’ possibile che tale microchimerismo contribuisca alla patogenesi di selezionate patologie autoimmuni. Tale meccanismo è stato proposto dalla ricercatrice italo-americana Diana Bianchi che ha ipotizzato che l’insorgenza di alcune malattie autoimmuni, che sono più frequenti nella donna che nell’uomo, potrebbe essere correlata alla persistenza nell’organismo della donna di una popolazione di “cellule estranee” e geneticamente distinte di origine fetale. Il microchimerismo naturalmente acquisito è stato recentemente studiato in varie malattie autoimmuni tra cui la sclerodermia, la tiroidite di Hashimoto, la cirrosi biliare primitiva, la sindrome di Sjogren, il lupus sistemico, la dermatomiosite, e il lupus neonatale. E’ verosimile che il microchimerismo possa risultare in effetti avversi, neutrali o benefici nell’ospite, sulla base di altri fattori immunologici quali i geni HLA specifici (determinanti dell’istocompatibilità tra individui differenti) e l’interazione HLA tra le diverse popolazioni cellulari. La conoscenza approfondita dei meccanismi attraverso i quali il microchimerismo naturalmente acquisito si verifica senza danno per l’ospite, potrebbe portare all’identificazione di nuove strategie per la terapia di alcune malattie autoimmuni. Durante la gravidanza le cellule staminali del feto possono accorrere a riparare lesioni in organi e apparati nel corpo della madre. In questo contesto, sono state dimostrate cellule staminali fetali all’interno di un adenoma tiroideo materno, come se tali cellule potessero in qualche modo “aiutare” l’organismo materno a “curare” tale patologia. Tale fenomeno di “rimpiazzo tissutale” è stato confermato anche per altre malattie materne quali l’epatite-C e l’infarto del miocardio. Si può dire che le conseguenze mediche della gravidanza si estendono e si prolungano ben oltre il parto, e che donne conservano l’unità del patrimonio genetico dell’umanità E forse sta anche in questo il segreto della loro maggiore longevità rispetto agli uomini. Il traffico cellulare tra la madre e il feto attraverso la placenta durante la gravidanza genera la persistenza a lungo termine di cellule fetali nella madre (microchimerismo fetale), ma anche di cellule materne nella sua progenie (microchimerismo materno). Tali cellule materne tessuto-specifiche possono essere coinvolte nella patogenesi di malattie autoimmuni del nascituro (es. sclerosi sistemica, dermatomiosite e lupus neonatale). In alternativa, le cellule materne possono migrare verso aree di danno tissutale neonatale e funzionare come benefiche cellule riparatrici. Vi sono inoltre cellule fetali mononucleate capaci di permanere per decenni nel midollo osseo e nel sangue periferico materno. Queste cellule si sono ritrovate fino a 30 anni dopo una gravidanza, e, una volta isolate ed espanse in vitro, potrebbero essere utilizzate per la diagnosi prenatale non invasiva di malattie genetiche fetali. Si tratta però di un approccio diagnostico ancora sottoposto a sperimentazione e che presenta vari problemi metodologici prima di passare ad un uso clinico di routine. Alcuni Centri europei stanno lavorando per mettere a punto metodiche diagnostiche predittive su sangue materno, come quello di Nicolaides (Londra) e Holzgreve (Basilea). Anche alcuni Centri italiani sono impegnati su queste ricerche, che, sebbene ancora in fase iniziale, risultano molto promettenti. E’ stato riscontrato nel circolo materno, oltre alle cellule fetali, anche DNA fetale isolato utile per la diagnosi di determinate mutazioni genetiche (es. fibrosi cistica, beta-talassemia). Tentativi di ricerca riguardano la diagnosi di isoimmunizzazione-Rh e la diagnosi citogenetica fetale. Altri metodi quantitativi sono stati messi a punto per evidenziare patologie della gravidanza associate a danno placentare (es. preeclampsia e ritardo di crescita) caratterizzate da un aumentato passaggio di cellule fetali nel circolo materno.


Attuali applicazioni terapeutiche delle cellule staminali

Sono molte le malattie ampiamente diffuse che potrebbero trarre giovamento dall’intervento di cellule staminali: la leucemia, l’infarto del miocardio e il morbo di Parkinson - solo per citarne alcune - che producono una perdita o un danno in alcune classi di cellule particolarmente specializzate.

L’utilizzo di cellule staminali può avvenire attraverso determinate tecniche mediche che rendono possibile non solo arrestare il danno, ma anche riparare il danno già prodotto.

Alcuni esempi di modalità di intervento sono:

La tebella seguente riassume le più significative applicazioni sull’uomo della terapia con cellule staminali, comprendendo sia quelle già consolidate nella pratica clinica (tumori ematologici, ustioni cutanee gravi, lesioni corneali irreversibili) sia quelle ancora in fase di studio sperimentale:

Tipi di cellule staminali

Applicazioni cliniche

Emopoietiche

Leucemie, mielomi, linfomi

Aplasie midollari

Emofilie e trombocitopenie

Emoglobinopatie (es: talassemia, anemia falciforme)

Immunodeficienze

Tesaurismosi

Malattie autoimmuni (es: lupus, artrite reumatoide)

Tumori solidi (es: chemioterapia ad alte dosi)

Malattie cardiovascolari (es: infarto, ischemia)

Mesenchimali

Malattie cardiovascolari

Difetti e fratture ossee (es: osteogenesi imperfetta)

Malattie muscolari (es: distrofia)

Tumori solidi (es: terapia genica antitumorale)

Neuronali

Malattie neurologiche degenerative (es: sclerosi multipla, m. di Parkinson)

Danni del sistema nervoso centrale (es: lesioni del midollo spinale)

Epidermiche

Ustioni cutanee

Ulcere cutanee

Lesioni corneali

E’ importante sottolineare che tali applicazioni terapeutiche riguardano solo cellule staminali di tipo non-embrionale. Le cellule staminali embrionali non sono infatti attualmente utilizzabili per nessuna forma di terapia cellulare.

Apetti giuridici in tema di cellule staminali a livello italiano ed internazionale


Il dibattito sulle cellule staminali è acceso e implica valutazioni di ordine oltre che scientifico anche etico e giuridico. Come ogni argomento che investe la vita umana nelle sue fasi più cruciali, la sua trattazione provoca profonde risonanze filosofiche ed emotive, e solleva interrogativi che implicano una risposta a livello sia personale che sociale e politico.

Sebbene siano stati elaborati in Italia due documenti nell’anno 2000 e nonostante entrambi suggeriscano di consentire la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ricavate unicamente da embrioni soprannumerari, le raccomandazioni contenute in questi documenti non sono mai state attuate. Gli autori di questi documenti sono stati rispettivamente, da una parte, il Comitato Nazionale per la Bioetica, dall’altro una commissione ad hoc, nota come commissione Dulbecco, istituita dall’allora ministro della Sanità, Umberto Veronesi, sposando a larga maggioranza la soluzione di compromesso sull’utilizzo di embrioni non più destinati ad essere impiantati in utero. Si tratta di una posizione largamente accettata da alcuni paesi come la Gran Bretagna, la Svezia, e la Spagna, molto vicina a noi per tradizioni culturali e mentalità, ma che si scontra con la posizione della Chiesa Cattolica che ribadisce l’assoluta intangibilità dell’embrione in quanto vita umana. Tale posizione si fonda infatti su una concezione valoriale dell’embrione inteso già come persona umana soggetto di diritti, contrapposta ad una posizione materialista ed utilitarista che relega l’embrione a mero oggetto a disposizione del bene della società. La ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Oviedo, prima della legge 40 sulla procreazione assistita, sembrava aver chiuso ogni possibilità di ricerca sulle staminali embrionali. L’art. 18 della stessa Convenzione, che suscita un ginepraio di polemiche ed interpretazioni, vieta la sperimentazione sugli embrioni a meno che non sia regolata da un’apposita legge. E, in assenza di leggi, per effetto della ratifica, in Italia non si sarebbe potuto fare ricerca sugli embrioni a condizione che si fosse adottata la strategia del Parlamento tedesco che autorizza l’acquisto all’estero di linee cellulari già derivate. Interessante è notare come l’iter di ratifica sia iniziato mentre erano in corso i lavori delle due commissioni, rispettivamente quella del Comitato Nazionle per la Bioetica e quella della commissione Dulbecco e si concluda nel marzo del 2001, a Parlamento sciolto e senza neppure un accenno di dibattito. Una fretta di arrivare all’approvazione della legge per la ratifica cui non ha corrisposto altrettanto solerzia nel predisporre i decreti legislativi di attuazione e nel depositare lo strumento di ratifica presso il Consiglio di Europa; il risultato è stato che le indicazioni di apertura in fatto di ricerca sulle staminali embrionali delle due commissioni , seppure caute, non sono più state applicate. Nel 2003, la vicenda italiana si intreccia con quella europea e con la proposta di moratoria per bloccare l’avvio del sesto programma-quadro approvata dal governo italiano: a quell’epoca, anche in funzione del fatto che ci sarebbe stato il semestre di presidenza italiana, il ministro Letizia Moratti ha chiesto al Comitato Nazionale per la Bioetica un parere su alcuni punti chiave, vale a dire se fosse eticamente lecito svolgere ricerche su embrioni umani, ricerche che utilizzino cellule staminali ricavate da embrioni umani in data successiva all’avvio del sesto programma-quadro e ricavare cellule staminali da embrioni soprannumerari. Il Comitato in risposta ai quesiti produce un documento approvato a maggioranza e due di minoranza; il primo risponde negativamente ai tre quesiti non precisando se il diniego si dovesse estendere anche alle linee cellulari ricavate prima dell’avvio del sesto programma-quadro. Anche il secondo documento è dello stesso avviso, pur non escludendo la possibilità di un’area di liceità etica limitata a ricerche su embrioni sovrannumerari. Il terzo documento, presentato da Demetrio Neri, risponde positivamente ai quesiti del ministro sottolineando la non plausibilità etica e scientifica di limitare la ricerca alle sole staminali prodotte prima dell’avvio del sesto programma-quadro. La posizione di maggioranza è fatta propria dal governo, che non era in linea di principio contrario ad una soluzione di compromesso. Il risultato è stato che il 3 dicembre, dopo il voto del Parlamento europeo del 19 novembre, che opta per una posizione analoga a quella del terzo documento formulato dal Comitato Nazionale per la Bioetica, la presidenza del Consiglio dei ministri dell’Unione europea decide di non assumere alcuna decisione, rimandando la questione al semestre successivo, la cui presidenza è toccata all’Irlanda, l’unico paese europeo in cui la protezione dell’embrione è sancita dalla Costituzione. Il primo ministro irlandese ha subito dichiarato di non avere intenzione di affrontare la questione e ciò ha portato ad una situazione complessa e confusa. Tale situazione ha subito una svolta decisiva il 15 giugno scorso quando il Parlamento europeo ha dato un via libera contrastato alla ricerca sugli embrioni nell’ambito del settimo programma-quadro di ricerca. Il Parlamento si è infatti quasi spaccato sulla decisione di finanziare la ricerca sulle staminali tratte dagli embrioni; la linea permissiva ha vinto ma con una maggioranza molto contrastata. L’emendamento “Gargani” al settimo programma europeo di ricerca, quello più netto nel fermare le sperimentazioni, ha raccolto 238 voti su 565 votanti, che non sembrano così pochi. L’emendamento “Niebler”, quello su cui sono confluiti in seconda battuta i voti cattolici e moderati, trattandosi del compromesso più accettabile (ricerca ammissibile solo su staminali embrionali derivate da embrioni soprannumerari prodotti prima del 31 dicembre 2003), ha perso ma per soli 19 voti di scarto. La vittoria della proposta più permissiva, l’emendamento n°66, detto “ITRE” dal nome della commissione, che elimina ogni limite alla data di produzione degli embrioni soprannumerari utilizzabili per ricavarne cellule staminali, è avvenuta con un vantaggio di 45 voti. E’ da sottolineare che tale emendamento non si discosta vistosamente dal “Niebler”, vietando comunque la clonazione, le alterazioni del patrimonio genetico e la produzione di embrioni a fini di ricerca o di approvvigionamento di staminali. L’esito del voto ha dunque mostrato l’emergere di nuove sensibilità verso qualche forma di tutela della vita. Come ulteriore tappa istituzionale, il 19 luglio scorso il Senato italiano ha approvato per un solo voto una risoluzione che impegnava il governo a sostenere ricerche che non implichino la distruzione di embrione, ma allo stesso tempo apriva alla sperimentazione sugli embrioni crioconservati non più impiantabili in utero. L’ultima data importante è infine il 24 luglio scorso, quando il Consiglio europeo sulla “competitività” ha deciso definitivamente sul finanziamento alla sperimentazione sugli embrioni. Dopo lunghe ore di dibattito è stato raggiunto un compromesso, da molti ritenuto tuttavia ambiguo e insoddisfacente, che, se da un lato proibisce in maniera assoluta il finanziamento di ricerche che prevedano la distruzione di embrioni umani, dall’altro autorizza ricerche su linee cellulari embrionali senza però specificarne la data di produzione. La decisione sul settimo programma-quadro esclude invece esplicitamente dai finanziamenti comunitari tre campi di ricerca: i) le attività di ricerca finalizzate alla clonazione umana per scopi riproduttivi; ii) le attività di ricerca dirette a modificare il patrimonio genetico di esseri umani e tali da poter rendere ereditari tali cambiamenti; iii) le attività di ricerca dirette a creare embrioni umani esclusivamente a scopo di ricerca o allo scopo di procurare cellule staminali. Sui venticinque Stati membri solo cinque (Polonia, Lituania, Malta, Slovacchia e Austria) hanno votato contro, mentre decisiva è stata la mediazione di Germania e Italia, con i rispettivi ministri Annette Schavan e Fabio Mussi, che in ogni caso ha fatto definitivamente saltare la minoranza di blocco.

Per quel che riguarda l’opinione generale dei medici e dei cittadini riguardo alle problematiche inerenti le cellule staminali, dal rapporto del Censis e del Forum per la ricerca biomedica “I medici e l’innovazione farmacologica” presentato il 27 gennaio 2005 si deduce che nove medici su dieci sono a favore dell’utilizzo delle cellule staminali embrionali, che il loro livello di informazione è elevato e che la responsabilità della scelta di ciò che si possa fare o meno nell’ambito della ricerca biomedica dovrebbe essere affidata ad un autorità super-partes, come il Comitato Nazionale per la Bioetica. Non molto dissimili sono i risultati di un’indagine eseguita su un campione rappresentativo di 964 cittadini dal centro di ricerche Observa-Science in Society, resi pubblici nel gennaio 2005. Quasi otto su dieci sono favorevoli all’utilizzo di cellule staminali ricavate da embrioni per la ricerca di nuove terapie mediche: oltre un terzo addirittura senza condizioni di sorta (35%), mentre il 44% lo vincola al fatto che si utilizzino embrioni altrimenti destinati ad essere distrutti, il 21% è contrario in ogni caso. Negli Stati Uniti i Catholics for Free Choice, ossia i cattolici a favore della libera scelta, hanno fatto un sondaggio nazionale su 2239 cattolici americani e il dato sorprendente emerso è che il 72% di loro non è contrario al fatto che gli scienziati utilizzino embrioni in una fase molto iniziale del loro sviluppo allo scopo di trovare cure per le malattie. Non è dello stesso avviso Richard Doerflinger, vicedirettore del Segretariato pro-vita della Conferenza episcopale americana e tra i più accaniti avversari della ricerca sulle staminali embrionali.

L’Inghilterra, attualmente al pari di Belgio, è uno dei paesi più liberali d’Europa in fatto di ricerca sulle staminali e sulla clonazione. Ma se facciamo un passo indietro già a partire dal 1990, la Gran Bretagna si è trovata a legiferare su tutte le attività connesse alla sperimentazione sugli embrioni in provetta; nel frattempo è stata istituita una commissione, presieduta dalla filosofa Mary Warnock che ha prodotto un rapporto con una serie di proposte finalizzate a regolare l’ambito delle tecniche di riproduzione assistita, rispondendo alle maggiori questioni etiche sollevate dalla possibilità di manipolare gli embrioni umani. La commissione è giunta alla conclusione che sia lecita la loro sperimentazione coi limiti precisi di tempo, cioè non oltre il quattordicesimo giorno di vita dell’embrione e a patto che siano fissate le condizioni della sperimentazione. Queste proposte vengono convertite nella legge del 1990, che prevede tra l’altro la creazione di una Authority che avrebbe dovuto monitorare, autorizzare l’attività di tutte le cliniche per la fecondazione in vitro dei centri che fanno ricerca con gli embrioni e regolare la conservazione dei medesimi e dei gameti. La Human Fertilisation and Embryology Authority, primo organismo del genere al mondo è stata istituita l’anno successivo, nel 1991. Dieci anni dopo la sua nascita, nel 2001 la HFEA, è stata emendata per consentire l’uso di embrioni per le ricerche sulle staminali in seguito al parere espresso da una commissione di esperti presieduta da Liam Donaldson ed è diventato l’organismo responsabile delle autorizzazioni per la ricerca utilizzando embrioni mantenuti nei congelatori e scartati dalle cliniche per la fecondazione assistita e anche quelli creati a scopi di ricerca. Agli scopi inizialmente consentiti dalla legge per la ricerca sugli embrioni, il Parlamento inglese ne ha aggiunti altri tre; l’autorizzazione alla sperimentazione è consentita se permette di aumentare la conoscenza sul modo in cui l’embrione stesso si sviluppa, la conoscenza sul decorso e l’insorgere di gravi malattie oppure l’applicazione di queste conoscenze allo sviluppo di trattamenti per le malattie. Con lo Human Cloning Act è anche specificata la proibizione di impiantare in una donna un embrione creato in modi diversi dalla fecondazione: dunque la ricerca sulle staminali embrionali, anche con la tecnica del trasferimento nucleare, cioè la clonazione terapeutica, era lasciata aperta, si poneva un limite esplicito alla clonazione riproduttiva.

Dopo il secondo conflitto mondiale, una delle prime istituzioni europee fondate è il Consiglio d’Europa, un organismo con sede a Strasburgo che raccoglie quarantasei Stati europei (più cinque in qualità di osservatori: Santa Sede, Stati Uniti, Giappone, Canada e Messico). E’ distinta dall’Unione europea e si propone come garante della sicurezza democratica basata sul rispetto dei diritti dell’uomo, affronta i grandi temi e i dibattiti legati al progresso della medicina e all’inizio degli anni novanta, ha istituito un Comitato direttivo per la bioetica. Nel 1997 si ha la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina, altrimenti nota come la Convenzione di Oviedo, ratificata da diciannove paesi tra cui la Danimarca, l’Islanda, la Spagna, il Portogallo, la Grecia. L’Italia l’ ha ratificata nel 2001, ma, dal momento che manca lo strumento di ratifica che la rende operativa, non può essere di fatto considerata ufficialmente tra i paesi ratificatori. L’art. 18 della Convenzione è dedicato alla ricerca scientifica sugli embrioni in vitro; in quanto ammessa dalla legge assicura una protezione adeguata dell’embrione (art. 18, 1° comma). La costituzione di embrioni umani ai fini di ricerca è vietata (art 18, 2° comma). Questo articolo (composto di due soli commi), così scarno ed essenziale è stato il risultato di una complessa opera di diplomazia bioetica che ha tentato di tenere conto delle differenti posizioni sul tema, esistenti nei paesi europei. Nel 1998, alla Convenzione è stato aggiunto un protocollo sul divieto di clonazione di esseri umani, ma nel contempo viene riconosciuta la possibilità per i vari paesi di darsi delle leggi che ammettono la ricerca sugli embrioni, purchè a questi sia fornita protezione adeguata. Il secondo comma dell’art. 18, impone il divieto di creare embrioni per scopi di ricerca, ma i paesi che hanno già una legge che lo ammette, recita l’art 36 della Convenzione, potrebbero anche decidere di ratificarla con una riserva su uno degli articoli. Dunque nella Convenzione nulla osta a che i paesi promulghino leggi che ammettano la ricerca sulle staminali embrionali. Nell’estate del 2004 la Francia, dopo tre anni di valutazioni ha modificato le leggi preesistenti sulla bioetica per consentire a condizioni ben precise e per un periodo di tempo di cinque anni, le ricerche sull’embrione umano utilizzando quelli avanzati nelle cliniche dove si effettua la procreazione assistita. La clonazione di esseri umani, quale crimine contro l’umanità è proibita e punita con la reclusione in carcere e al pagamento di multe. Anche in Spagna è consentito l’uso delle staminali ricavate da embrioni avanzati dalle procedure di fecondazione ai fini di ricerca. La Svizzera approva con un referendum, nel novembre del 2004, la legislazione che consenta l’utilizzo di cellule staminali ricavate da embrioni soprannumerari a fini di ricerca. Contro la clonazione si è espressa alla fine del 2004, il Consiglio etico nazionale della Germania, dove già dal 1991 è in vigore una legge che vieta la clonazione sia a fini terapeutici, che riproduttivi ed anche la distruzione di embrioni avanzati alle cliniche per scopi di ricerca. Le norme rigide varate in Germania risentono della lunga onda emotiva derivata dal ricordo dell’esperienza nazista. Il Parlamento tedesco non ha sottoscritto la Convenzione di Oviedo sulla biomedicina proprio perché ritiene che non garantisca una protezione adeguata dell’embrione. In Italia, il destino della ricerca sulle staminali embrionali dipende molto dall’esito del referendum sulla legge 40. La legge sulla fecondazione assistita, approvata nel dicembre del 2003 e in vigore dal febbraio del 2004, vieta esplicitamente ogni forma di intervento e manipolazione dell’embrione. In base all’art. 13 della legge, la ricerca sull’embrione umano è consentita solo per fini terapeutici e diagnostici volti alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso e qualora non siano disponibili metodologie alternative. Sono vietati in ogni caso, la produzione di embrioni a scopo di ricerca, la clonazione attraverso le tecniche di trasferimento nucleare e la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa; la legge prevede un massimo di tre ovociti che possono essere fecondati in ogni ciclo. Gli embrioni così formati devono essere tutti impiantati nell’utero della donna, mentre è vietato congelarli per eventuali utilizzi futuri. Scopo della normativa è di recidere alla base il problema degli embrioni soprannumerari. Rimane il problema di cosa fare di quelli (circa 2500 in tutta Italia) che giacciono “orfani” nei congelatori; la legge prevede che le strutture e i centri di fecondazione assistita trasmettano al Ministero della Salute l’elenco degli embrioni prodotti e congelati.

Considerazioni bioetiche in tema di cellule staminali

La questione bioetica centrale di tutta la sperimentazione scientifica sulle cellule staminali riguarda la possibilità di ottenere tali cellule di tipo embrionale mediante metodiche che implicano la distruzione di embrioni umani. Essa coinvolge dunque, in ultima analisi, lo concezione ontologica dell’embrione umano fin dalle sue prime fasi di sviluppo. A tale riguardo risulta evidente che non esiste nessuna ragione scientifica oggettiva per operare una distinzione etico-morale tra un embrione all’inizio della sua esistenza o dopo l’impianto nell’utero materno o dopo 14 giorni (il cosiddetto “pre-embrione” della letteratura anglosassone). Infatti, anche da un punto di vista strettamente biologico, ciò che è precedente all’embrione sono soltanto i gameti (ovocita a spermatozoo); con la loro fusione si costituisce una nuova realtà biologica, l’embrione appunto, con il proprio futuro e la propria continuità. L’embrione non può inoltre essere ridotto ad un semplice agglomerato di cellule; esso risulta una realtà dinamica con un divenire biologico proprio dell’essere vivo, in crescita ed organizzato. L’embrione indica uno stadio iniziale dello sviluppo di un organismo vivente che evolve in modo continuo e graduale per diventare feto, neonato, giovane, adulto e vecchio. Il riconoscimento dell’embrione umano come individuo unico e irripetibile della specie umana fin dalla fecondazione implica che esso non sia una cosa ma un soggetto di diritto, una persona che richiede rispetto e tutela. Qualsiasi forma di violenza fatta alla sua corporeità rappresenta un inaccettabile abuso esercitato sulla persona umana. Occorre ribadire inoltre che la dignità umana, e quindi anche quella dell’embrione umano, non può e non deve essere resa dipendente da decisioni di altri esseri umani. La vita umana infatti non può essere strumentalizzata, in una visione utilitaristica, per il bene della collettività. Ciascun essere umano deve essere invece considerato, usando le parole del filosofo Kant, “sempre come fine e mai come mezzo”. Occorre dunque coniugare le necessità del progresso scientifico con la salvaguardia e la salute della persona umana, nel rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano sia esso nella fase della vita adulta che embrionale. E’ necessaria una guida etica della ricerca, che, non togliendo nulla all’indipendenza epistemologica della conoscenza scientifica, assiste la scienza nella sua più profonda vocazione che è il servizio alla persona umana. In tal senso è auspicabile lo studio di approcci scientifici innovativi che permettano la derivazione di cellule staminali embrionali senza distruggere embrioni umani. Ciò potrebbe essere possibile ad esempio attraverso lo studio del cosiddetto “de-differenziamento” (riacquisizione di pluripotenzialità) di cellule somatiche mediante inserzione di geni propri delle cellule embrionali (es: nanog). Oppure si potrebbero ottenere cellule staminali con caratteristiche molto simili alle embrionali da tessuti umani non-embrionali (es: dai testicoli, come dimostrato nel topo). Infine è bene ribadire che le cellule staminali di tipo somatico prelevate da organismo adulto (o da cordone ombelicale o da tessuto fetale derivante da aborto spontaneo, previo consenso dei genitori) risultano scevre da ogni problematicità bioetica. Esse rappresentano dunque una scelta di campo della ricerca scientifica rispettosa allo stesso tempo sia delle legittime aspettative dei malati che dell’incodizionata dignità dell’uomo.


Ringraziamenti: Progetto “Banca Cellule Staminali” - Fondazione Cassa di Risparmio di Roma.

30