UNA CULTURA DELLA CONCORRENZA PER LIBERARE LE POTENZIALITA’ DEL PAESE


di Antonio Catricalà


Costringere un monopolista a competere richiede uno sforzo pari a smobilitare un esercito permanente troppo cresciuto. Sono passati oltre 200 anni da quando, nel 1776, Adam Smith scrisse questa riflessione ne ‘La Ricchezza delle Nazioni’. Eppure quello sforzo immenso, da lui evocato, è lo stesso con il quale l’Autorità che ho l’onore di presiedere, deve fare i conti nel suo quotidiano lavoro. Si tratta di una sfida che va affrontata avendo la coscienza che in gioco c’è la possibilità di innescare un processo competitivo salutare e cruciale per la nostra economia. La competitività del nostro sistema può risultare infatti rinforzata da una terapia intensiva che miri alla liberalizzazione dei settori protetti, che mobiliti le forze vitali della nostra economia, che premi sul campo i migliori, riconoscendo ruolo e valore alla meritocrazia.

Non nascondo che la strada è in salita: spesso si ha la sensazione che mentre si tenta di abbattere o almeno abbassare una barriera, alle spalle qualcuno costruisce un muro più robusto e più alto. Eppure, al di là di quei muri, c’è l’interesse di tutti ad una società più giusta e più equilibrata.


PROMUOVERE L’ETICA DELLA LIBERTA’

E’ a questo fine che l’Autorità deve volgere il proprio impegno, svolgendo la propria azione secondo una concezione dinamica della concorrenza, strumento per ridurre squilibri, favorire le condizioni di sviluppo, rafforzare assetti competitivi tra organismi vivi e in continua evoluzione, quali sono le imprese. Difendere la concorrenza significa, in ultima analisi, difendere la libertà di scelta consapevole degli individui, in quanto cittadini e consumatori. Dunque etica della libertà intesa anche come etica delle regole senza la quale libero mercato e concorrenza rischiano di essere parole vuote. La libertà di scelta del consumatore diventa bene supremo da tutelare per eliminare le rendite di posizione, favorendo una distribuzione più efficiente ed equa delle risorse.

E’ con questo metro etico che ritengo vada misurata l’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. L’efficacia delle politiche pubbliche e la legittimazione delle istituzioni si misurano anche con la loro capacità di interpretare le domande sociali. L’amministrazione deve prestare attenzione alle finalità da perseguire piuttosto che limitarsi alla cura della legittimità formale degli atti amministrativi adottati. Gli stessi atti amministrativi dovrebbero essere formati non solo perché possano superare i controlli di legittimità ma anche e soprattutto perché possano raggiungere i risultati voluti. Compito dell’amministrazione non è produrre atti, ma beni misurabili nell’interesse della collettività.


SCONFIGGERE L’AUTOREFERENZIALITA’


C’è un’etica dell’agire della pubblica amministrazione che siamo ogni giorno chiamati a rispettare. E invece il pericolo in agguato per chi è chiamato a svolgere ruoli di guida nella pubblica amministrazione è l’autoreferenzialità. Si tratta di un limite perverso che si annida ancora nella cultura e nella mentalità di gran parte dei nostri dirigenti. E il rischio si aggrava per le Autorità: l’autoreferenzialità può confondersi con l’indipendenza, essenziale, questa sì, per svolgere al meglio il nostro ruolo. Ma quando l’autoreferenzialità prevale, l’Istituzione diventa una monade isolata, che si compiace della sua inespugnabilità e del suo arroccamento. Dimenticando che, intanto esiste in quanto è legittimata dal popolo italiano, dai cittadini che ogni giorno fanno il proprio dovere, pagano le tasse e contribuiscono alle spese per il funzionamento delle Istituzioni, Autorità comprese. Per questo ritengo che occorrano continui e significativi momenti di confronto e verifica con il Parlamento, che del Popolo è la diretta espressione, al quale le Autorità indipendenti dal Governo devono rispondere in modo trasparente e approfondito del proprio operato. E occorre andare anche oltre, fuori dai Palazzi, perché in ultima istanza è all’opinione pubblica che un’Autorità indipendente deve rispondere.

Proprio su queste linee direttrici, soprattutto negli ultimi dodici mesi di attività, l’Autorità Antitrust si è mossa. Ha rafforzato il proprio rapporto con i consumatori, istituendo, nel marzo del 2005, un’apposita Direzione per le Relazioni Esterne e i Rapporti Istituzionali, e, nell’aprile del 2006, la Direzione Generale per la Tutela del Consumatore. Non si è trattato di semplici riorganizzazioni formali: di pari passo si sono rafforzati i mezzi attraverso cui è stata promossa l’azione dell’Autorità: non solo la comunicazione più strettamente istituzionale ma anche partecipazione a seminari e convegni e a trasmissioni televisive e radiofoniche ‘’di servizio’’. Si è scelta, in sintesi, la via della divulgazione convinti che non c’è vera libertà senza conoscenza.

Stiamo raccogliendo i primi frutti di questo diverso approccio, dell’effettivo avvicinamento dell’istituzione ai consumatori: in questi ultimi mesi registriamo un aumento consistente di richieste e denunce provenienti dai singoli cittadini che finalmente hanno trovato nell’Antitrust un referente, anche solo un indirizzo preciso, per denunciare i tanti casi di abusi, grandi e piccoli, che contraddistinguono l’economia italiana in questo primo decennio di post-statalismo. Di questo nuovo ‘corso’ iniziamo dunque a trovare riscontro in un diverso atteggiamento dei cittadini: cittadini appunto e non più sudditi, consapevoli dei propri diritti di consumatore.

Il processo di trasparenza e comunicazione delle nostre decisioni che l’Autorità sta portando avanti si inserisce peraltro in uno sforzo più corale: nell’opinione pubblica, nella consapevolezza politica, nella riflessione delle forze sociali e del lavoro, si sta radicando l’idea che la concorrenza costituisce un momento di democrazia meritocratica nel mercato e nella società. Il risultato, anche solo culturale, rappresenta per l’Italia un valore in sé, da coltivare e non abbandonare.

Sperimentiamo dunque una nuova stagione di consapevolezza. La vicenda del latte in polvere ne costituisce una riprova. Lo scorso anno, come è noto, l’Autorità ha sanzionato per intesa restrittiva della concorrenza le aziende produttrici di latte in polvere per l’infanzia. Al di là delle sanzioni, che considero un momento di fallimento del mercato giacché si sanziona quando ormai i buoi sono scappati, hanno assunto rilievo gli impegni assunti dalle imprese con l’Autorità: i prezzi del latte in polvere sono scesi di oltre il 25% a sconti invariati. In alcuni casi la riduzione è giunta al 27% e, per i latti nella fascia di prezzo più bassa, fino al 35%, con un risparmio stimato per le giovani famiglie in oltre 40 milioni di euro nel corso dell’anno. Dunque un risultato concreto, che si è riflesso sulle tasche degli italiani. Stabilire col bilancino quanto di questo risparmio sia conseguenza immediata e diretta dell’azione dell’Autorità è impresa ardua: di certo però l’istruttoria dell’Antitrust non solo ha modificato la struttura dell’offerta, ma ha influenzato la domanda. Grazie ad un’efficace comunicazione ha favorito la consapevolezza che il prezzo troppo alto del latte artificiale non fosse un fatto ineludibile ma il risultato di comportamenti collusivi da parte delle aziende a danno dei consumatori. Un giro vizioso per il consumatore che si poteva invece spezzare.


IL BENESSERE DEL CONSUMATORE METRO DEL NOSTRO AGIRE


E’ proprio il benessere del consumatore, d’altronde, che deve costituire fine ultimo del nostro giudizio e della nostra azione. Quando siamo chiamati a giudicare una restrizione della concorrenza dobbiamo valutare attentamente gli effetti attuali e potenziali sul benessere dei consumatori: se dopo un intervento dell’Autorità il mercato soffre o vi è un danno per i consumatori, ad esempio, se i prezzi salgono, significa che la nostra azione non ha registrato un successo ma un fallimento. Si tratta di un’impostazione, già condivisa e attuata negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e nel Regno Unito. Ma anche la nostra legge fondante vede nel benessere del consumatore il faro sul quale orientare la rotta. Gli interessi dei consumatori vengono espressamente contemplati dalla legge n.287 del 1990numerose ed esplicite disposizioni della legge n. 287/90. Il divieto di abuso di posizione dominante scatta ad esempio quando impedisce o limita “la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori”. L’Autorità può autorizzare intese o categorie di intese se danno luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato che comportino

un sostanziale beneficio per i consumatori.

Nella valutazione delle concentrazioni uno degli elementi è costituito dalle “possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori”. C’è, nella normativa nazionale, un ruolo riconosciuto alle associazioni rappresentative dei consumatori, particolarmente rilevante per quanto riguarda la pubblicità ingannevole.

Esiste dunque un legame diretto che vincola l’azione dell’Autorità Antitrust al bene collettivo e che crea una convergenza tra tutela del consumatore e tutela del mercato. Occorre sempre più coniugare la ‘rule of reason’, che guida l’esperienza d’oltreoceano, con la ‘rule of law’, al quale si è ispirata l’esperienza europea.

La centralità dell’interesse del consumatore si va peraltro sempre più affermando anche a livello teorico: vi è in dottrina il riconoscimento che il diritto comunitario è sempre più informato alla tutela degli interessi del consumatore. La stessa lettura dell’articolo 41 della Costituzione ben può avvenire attraverso la lente della tutela del consumatore, come attore rilevante ai fini dell’esplicarsi del libero esercizio dell’attività economica e come beneficiario del concetto di utilità sociale, al quale rinvia lo stesso articolo. In ultima analisi il consumatore è arbitro di quel sistema che dovrebbe assicurare, attraverso l’esercizio della libertà si scelta, la selezione dell’imprenditore più meritevole. Le scelte del consumatore, in un’ottica di concorrenza effettiva, devono potersi esplicare con consapevolezza: diversamente potrebbero tradursi in una distorsione del funzionamento del mercato stesso. La libertà di scelta del consumatore, insomma, è parte integrante del mercato stesso perché deve intendersi come libertà di agire secondo criteri di “razionalità economica”.


LA CONVERGENZA DEI MODELLI USA E UE


Esistono dunque in nuce, nel nostro ordinamento e in quello comunitario, gli elementi in grado di far convergere, sia pur nelle sue specificità, il diritto antitrust comunitario e quello americano. La divergenza tra i due modelli è storica anche se, proprio nell’ultimo anno, come già detto, l’attuale collegio dell’Autorità Antitrust sta compiendo scelte che mirano a coniugare al meglio questi due differenti approcci. Certamente, tra noi europei e gli Stati Uniti d’America, c’è più di un oceano di differenza. La giurisprudenza antitrust americana, ad esempio, tende a far prevalere le considerazioni di efficienza allocativa contro l’approccio e la tradizione della Comunità Europea , attento più che altro alla tutela del pluralismo dei soggetti competitori sul mercato. Ancora: il diritto Usa è posto a tutela “della concorrenza”, quello Ue tutela “i concorrenti”. L’azione antitrust Usa è sensibile al riscontro dei benefici di breve periodo per i consumatori, mentre quella comunitaria ha come obiettivo quello di evitare pregiudizi al funzionamento del mercato sul lungo periodo. Nella valutazione delle concentrazioni, prevale nel diritto antitrust Usa il criterio della “restrizione effettiva della concorrenza” contro la prevalenza nella Ue del criterio della “dominanza”. Negli Stati Uniti, gli organismi a tutela del mercato restano fiduciosi nelle capacità del mercato di tendere spontaneamente all’ottimale allocazione delle risorse (e quindi incline a premiare comunque l’impresa che cresce, acquista potere di mercato, fa investimenti e innova continuamente), nel nostro Mercato Unico, la Commissione Europea è sempre stata più propensa all’adozione coattiva di rimedi strutturali correttivi della creazione di potere di mercato.

L’azione antitrust Usa, infine, è incline ad ostacolare le sole operazioni idonee ad incidere direttamente sui consumatori in termini di incremento dei prezzi o riduzione dell’output, quella Ue propende invece a censurare le operazioni comunque idonee a ridurre il numero degli attori presenti sul mercato.

L’emblema di questa ‘contrapposizione’ è il caso della ipotesi di fusione tra General Electric e Honeywell dove i due mondi si sono mossi in modo centrifugo. Si trattava di un’operazione, a rischio di dominanza, che avrebbe tuttavia creato una nuova entità capace di realizzare importanti sinergie industriali e complementarietà con probabile incremento degli standard tecnologici. Il divieto impartito dalla Commissione Europea a fronte della autorizzazione rilasciata sull’operazione dal Department of Justice statunitense ha accesso i riflettori sulle divergenze valutative:

l’impostazione americana ha portato a riconoscere maggior importanza all’interesse dei consumatori e quindi ad autorizzare un’operazione dalla quale era ragionevole attendersi, grazie alle sinergie prodotte, prodotti migliori e/o prezzi più bassi. L’impostazione europea ha condotto ad avvalorare il punto di vista dei terzi concorrenti che avrebbero potuto trovarsi svantaggiati dall’integrazione prodotta dall’operazione di fusione.

Ma quello scontro di visioni è servito, perché negli ultimi tre anni, dal punto di vista applicativo e prospettico si è registrata in Europa una tendenza ad avvalorare l’idea che l’intervento antitrust debba avere come baricentro la tutela e il perseguimento del benessere dei consumatori, soprattutto nei casi di abuso di posizione dominante e nel controllo delle operazioni di concentrazione, come peraltro sancito dal nuovo regolamento 2004 CE (n.139/2004).

Per l’Italia non è che un ritorno alle nostre più nobili tradizioni: Luigi Einaudi sosteneva che il monopolio è il male sociale alla radice delle sopraffazioni dei forti contro i deboli.

Alle Istituzioni, alle Autorità indipendenti, il compito di ridare voce e forza alla parte più debole del mercato. Ai consumatori, appunto. Solo così si potrà effettivamente adempiere al dettato costituzionale, alla giurisprudenza comunitaria, allo stesso spirito del mandato della legge istitutiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.



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